Preparare dolci per esprimere se stessi
Cucinare e, in particolare, preparare dei dolci, può rivelarsi un profondo gesto di altruismo e un ottimo rimedio contro lo stress! A patto che, naturalmente, la cucina rientri nelle attività creative verso cui vi sentite portati. Vediamo meglio perché!
Si dice che “si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti stai solo preparando da magiare”! A ben pensarci quest’affermazione non è affatto peregrina: cucinare, in particolare i dolci, può essere un gesto di affetto verso coloro che amiamo e anche un modo per esercitare la consapevolezza e gestire lo stress. Tutti vantaggi non “edibili” dunque, ma in grado di nutrire cuore e mente! Una nuova forma di arte-terapia? Può darsi….
Cucinare dolci come terapia
Donna Pincus, e Susan Whitbourne, professoresse di psicologia e neuroscienze alle Università di Boston e del Massachusetts, non hanno dubbi: cucinare dolci e offrirli agli altri può rappresentare una potente forma di terapia, un modo per esercitare l’altruismo e la condivisione delle proprie emozioni e acquisire maggior consapevolezza di sé gestendo meglio ansia e stress.
Non è però all’alta cucina che dobbiamo pensare – quella stile Master Chef per intenderci – ma a quel rifugio casalingo forse meno all’avanguardia ma ben più familiare in cui disponiamo di forno e fornelli per la vita di ogni giorno.
Eh già perché qui non ci si riferisce all’espressione dell’ego mediante l’alta pasticceria, ma a qualcosa che ha forse più a che fare con il modo che avevano di intendere la cucina le nostre nonne: una fucina creativa in cui nulla era sfornato a caso e dove i dolci scandivano ricorrenze e pasti conviviali senza pretesa alcuna di ricevere votazioni o approvazioni da parte di maestri del cake design (che, diciamocelo, le nostre nonne neanche sapevano che diavolo fosse!).
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Cucinare dolci per comunicare affetto
Cucinare per gli altri è quindi un modo di donare, accudire e comunicare affetto e sollecitudine… ma, ci si chiederà, perché proprio i dolci?
Beh ognuno ha certamente il proprio personale comfort food, sta di fatto però che tutti noi veniamo al mondo con una predisposizione innata al sapore dolce dato che esso rappresenta quello evolutivamente più vantaggioso (la maggior parte dei frutti in natura ha questo sapore al contrario di quello amaro di alcune sostanze velenose o non commestibili). Il dolce rappresenta dunque una predilezione, per così dire, ancestrale e un sapore con cui veniamo a contatto fin dal latte materno.
Cucinare un dolce per qualcuno, rappresenta dunque la via preferenziale, dal punto di vista “culinario”, per comunicare sentimenti di affetto e sollecitudine.
Non si sta soltanto regalando una pietanza, ma anche l’emozione ad essa associata e la dedizione, in termini di tempo e fatica, spesa a confezionarla. Non per nulla in molti Paesi del mondo vige l’usanza di preparare pranzi e banchetti in occasioni speciali dove il dolce rappresenta il momento clou di tutto l’evento.
Fin anche ai funerali si mangia insieme e si usa regalare dolci, gli stessi che poi, sotto altre forme, vengono confezionati proprio in occasione delle ricorrenze dei morti.
Cucinare dolci o cedere alla fame emotiva?
I dolci dunque simbolizzano, meglio di qualunque altra pietanza, le emozioni, quelle che trasmettiamo nel donarli ma anche quelle che serbavamo nella nostra mente nel prepararli.
A volte ci si sente tristi, annoiati, confusi, preda di un “guazzabuglio” emozionale che forse non sappiamo decifrare ma che risulta fastidioso e molesto. E, come dicevamo, cosa c’è di più consolatorio di un dolce?!
Ma, attenzione: partiamo all’attacco del primo pacco di biscotti che abbiamo sottomano o prendiamo uova e farina e ci disponiamo per preparare noi quei biscotti? La differenza potrebbe essere interessante… Nel primo caso è probabile che si stia cedendo a quella “fame emotiva” che ci spinge a mangiare compulsivamente per distrarci da emozioni negative.
Così facendo non ci consentiamo di elaborarle ma ingurgitiamo del cibo in eccesso del quale ci pentiremo subito dopo ritrovandoci più tristi di prima e preda forse di vergogna e sensi di colpa. Cucinare dolci, invece di mangiarli compulsivamente, potrebbe rappresentare un’alternativa creativa, una sorta di “terapia” casalinga dagli esiti non trascurabili.
Cucinare dolci per elaborare le emozioni
Pensateci un momento, che cosa avviene quando si preparano torte e biscotti? Si miscelano degli ingredienti “grezzi”, di per sé indigesti da soli, che uniti insieme sono in grado di dar vita ad un composto del tutto nuovo: è la somma degli ingredienti di partenza, ma al tempo stesso, qualcosa di assolutamente diverso.
E, aspetto ancora più interessante, tutto questo assumerà una forma commestibile solo dopo un secondo procedimento che è quello della cottura.
Un lasso di tempo in cui l’energia del calore del forno permetterà al tutto di modificarsi chimicamente, di crescere e dei svilupparsi fino ad assumere, a cottura ultimata, la forma invitante e “digeribile” che tutti aspettiamo!
Le fasi di preparazione di un dolce assomigliano al modo in cui la mente elabora le emozioni: per poterle gestire con consapevolezza, senza lasciarsene sopraffare, occorre che vengano elaborate, rese “digeribili”, cioè pensabili, traducibili in qualcosa che ha un senso.
Non è un processo immediato, come aprire un pacco di biscotti, ma un procedimento che richiede pazienza e varie trasformazioni. Alla fine il risultato potrebbe essere molto più godibile degli “ingredienti” di partenza, forse ne sarà valsa la pena: assaggeremo qualche biscotto e finalmente quei biscotti saranno “solo” dei… biscotti!
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