Implementare la propria competenza emotiva nelle relazioni

L’empatia consiste nell’essere consapevoli delle emozioni del nostro interlocutore, sapendosi calare nei suoi panni, percependo cosa gli passa “dentro”.
Se questa competenza vi appare una bizzarria, essa è in realtà una risposta indispensabile per stabilire relazioni sane, intime, durevoli, per gestire e risolvere situazioni conflittuali, per sanare rapporti in crisi.

Implementare la propria competenza emotiva nelle relazioni

Siete consapevoli di ciò che l’altro prova?

L’empatia consiste nell’essere consapevoli delle emozioni del nostro interlocutore, sapendosi calare nei suoi panni, percependo cosa gli passa “dentro”.

Se questa competenza vi appare una bizzarria, essa è in realtà una risposta indispensabile per stabilire relazioni sane, intime, durevoli, per gestire e risolvere situazioni conflittuali, per sanare rapporti in crisi.

 

Sviluppare l'empatia

L’empatia è una risorsa emotiva che può essere sviluppata: imparare a calarsi nei panni altrui è possibile, purché si desideri davvero comprendere chi abbiamo di fronte. Prestare attenzione alle emozioni vissute dall’altro, significa, altresì, accorgersi di come le nostre azioni possano influire sui sentimenti altrui. E questo può risultare scomodo delle volte, mandandoci in crisi. Tuttavia, sviluppare tale competenza relazionale diventa indispensabile ad esempio all’interno di una relazione carica di incomprensioni, se si desidera davvero dare a tale rapporto una chance.

Nella gestione dei conflitti, comprendere le emozioni del nostro interlocutore risulta una vera e propria competenza “sana”, ovvero una vera risorsa che apre al punto di vista altrui, operazione così preziosa per allargare la percezione del contesto, uscendo dall’egocentrismo percettivo che porta a vedere le cose solo dal proprio punto di vista.

Grazie all’empatia si possono poi mettere in campo nuove modalità comportamentali, che tengano conto anche del vissuto altrui, così da trovare una soluzione del conflitto che comporti il maggior beneficio per entrambi. Senza alcuna empatia i due contendenti sono destinati a competere fino a che l’uno riesca a vincere sull’altro. Finale davvero triste.   

Imparando a comunicare con sincerità, onestà, condividendo le proprie intuizioni ed emozioni, è possibile aumentare le proprie capacità empatiche. Esplorare il “panorama emotivo” significa proprio diventare consapevoli innanzitutto delle proprie emozioni e successivamente di quelle altrui, capendo, dunque, cosa si prova e cosa l’interlocutore prova, con quale intensità, perché.

Se tale operazione appare difficile o faticosa è bene ricordarne la grande adeguatezza: esplorare il panorama emotivo è una valida operazione anche per ricercare la soddisfazione dei propri bisogni emotivi. Saper esprimere le proprie emozioni diventa, infatti, indispensabile se si desidera che il nostro interlocutore ne possa tenere conto, prendendole in considerazione.

Esprimere i propri sentimenti restituirà una grande quantità di energia, almeno pari a quella sprecata nel reprimerli. Naturalmente, è altrettanto importante lasciare che anche il nostro interlocutore esponga il proprio vissuto emotivo, (penso quanto questa sia una operazione preziosa durante un momento conflittuale, per esempio) senza condannarlo, giudicarlo, attaccarlo. Questo scambio porterà la relazione ad un piano nettamente più intimo, creando vicinanza, calore relazionale, trasparenza.

Ogni nostra emozione può avere una sua causa, magari collegata al comportamento altrui. Se è vero che gli altri non sono così potenti dentro di noi, perché noi possiamo sempre imparare a “lasciarli fuori”, è altresì vero che i gesti altrui possono provocarci reazioni e sensazioni dolorose da sopportare. Le azioni che mettiamo in campo possono, in effetti, provocare emozioni gradevoli o sgradevoli nell’altro, il quale a sua volta agisce in modo da provocare altri sentimenti in noi.

È possibile essere in totale buona fede e davvero ignari del potere dei nostri gesti, assolutamente inconsapevoli degli effetti delle nostre azioni su chi ci sta di fronte.

Se i gesti altrui ci offendono, ci colpiscono, ci amareggiano, ci fanno arrabbiare, come possiamo fare capire a chi ci sta di fronte il potere che i suoi comportamenti esercitano dentro di noi? È importante aiutare il nostro interlocutore a comprendere l’effetto dei suoi gesti sui nostri sentimenti. È un modo per essere presenti nella relazione, assumendosi la propria responsabilità.  

Certamente ci sono modi efficaci per farlo ed altri davvero disfunzionali. Sappiamo tutti come ci si sente se qualcuno, per esempio, ci assale per i nostri presunti “brutti comportamenti”, apostrofandoci nei modi più veementi. Ci chiudiamo a riccio, più spesso, smettendo di ascoltare chi ci sta di fronte, giustificandoci o attaccando a nostra volta per difenderci, per proteggerci. 

Dunque come fare per essere efficaci e permettere al nostro interlocutore di rimanere in un atteggiamento di apertura, ascoltando cosa ci passa interiormente?

 

Prima regola: mai attaccare, mai giudicare

Certamente non è affatto facile quando si è arrabbiati, per esempio, evitare di attaccare o giudicare l’altro, ma è pur sempre possibile. Ciò che è davvero utile esternare sono i nostri sentimenti di fronte ai gesti che non ci sono piaciuti, ai comportamenti che ci hanno provocano emozioni sgradevoli. L’importante è però evitare di caricare la descrizione di tali gesti o comportamenti con svalutazioni, giudizi negativi, attacchi feroci. 

Una cosa è dire: “quando tu mi parli alzando la voce, io provo…. rabbia, paura, tristezza, vergogna, odio…”; un’altra è dire: “quando tu mi parli gridando come un pazzo fuori di testa, tanto che tutto il vicinato, me compresa, pensa che sei un iracondo insolente, io provo…. rabbia, paura, tristezza, vergogna, odio…”.

La prima modalità espressiva lascia una speranza di possibile sana gestione del conflitto, la seconda modalità è più facile che porti allo scontro, a meno che l’interlocutore sia una persona capace di mettersi in totale discussione anche di fronte agli insulti o semplicemente agli attacchi diretti.

Esternare i propri sentimenti, senza giudizi, accuse o teorie sul comportamento altrui che li hanno provocati, descrivendo nella maniere più neutrale possibile il gesto, solo per fare capire al nostro interlocutore di quale atto stiamo parlando, è un modo “sano” per parlare di ciò che stiamo provando, chiedendo implicitamente all’altro di tenerne conto. Evitando rimproveri, forme di biasimo, critiche e condanne è più facile che il nostro interlocutore rimanga in apertura, in ascolto, evitando di assumere un atteggiamento di autodifesa. 

In particolare, fare attenzione a:

  1. Non caricare di un giudizio o di una interpretazione l’azione del nostro interlocutore che non ci è piaciuta. “Quando hai interrotto così maleducatamente la mia telefonata, perché ti sei scocciato, io mi sono sentita…triste, arrabbiata, umiliata…”. Questa affermazione espone una teoria sulle motivazioni dell’altro (“ti sei scocciato”), più che descriverne solo il gesto, e carica anche l’azione altrui di un giudizio (“sei un maleducato”), con il rischio di provocare sensi di colpa o ira. “Quando hai interrotto la telefonata, io mi sono sentita…triste, arrabbiata, umiliata”. Questa affermazione espone solo i propri sentimenti, senza giudizi di sorta sul gesto altrui.  
  2. Non confondere ciò che si ha pensato con ciò che si ha provato. “Quando hai interrotto la telefonata, ho proprio sentito che eri molto irritato e che non eri per niente interessato a ciò che stavo dicendo”. Questa affermazione non riflette una auto-esposizione dei propri sentimenti al termine della telefonata. Essa contiene, piuttosto, la propria teoria sul vissuto altrui, i propri pensieri (che sono altro dai propri sentimenti) rispetto a ciò che presumibilmente passava nella mente dell’interlocutore. Troppi litigi nascono proprio da errate interpretazioni. Se si vuole sapere con certezza ciò che l’altro stava provando è meglio chiederglielo con trasparenza, proprio per non incappare in un errore interpretativo.

 

Cosa fare quando qualcuno ci esprime cosa prova di fronte ai nostri gesti?

1. Evitare di mettersi sulla difensiva
2. Ascoltare senza interrompere, al fine di capire il legame tra la propria azione e ciò che l’altro ha provato.
3. Non è importante scusarsi immediatamente, né spiegare istantaneamente perché si ha agito in tal modo: assumersi la propria responsabilità può avvenire successivamente. Ciò che ha invece una precedenza assoluta è permettere all’altro di esprimere il proprio vissuto emotivo. Questa è una forma di empatia.
4. Non liquidare del tutto, come se fosse un errore grossolano, i sospetti dell’interlocutore, qualora serpeggino dietro le sue parole. 
Se è facile in tale occasione mettersi sulle difensive, negando la veridicità della intuizione altrui, magari per paura di ferire i sentimenti, è altresì vero che se l’intuizione è corretta è fondamentale avere il coraggio di confermarla: meglio offrire parole dure che lasciare l’interlocutore in un clima emotivo confuso e doloroso.
5. Assumersi le proprie responsabilità.
Per ottenere cambiamenti reali nei rapporti compromessi bisogna assumersi le proprie responsabilità:

  • Ognuno deve definire il problema secondo il proprio punto di vista
  • Ognuno deve ammettere le proprie mancanze, i propri errori. Non è sempre facile, né piacevole, ammettere, persino con se stessi, di aver sbagliato. Mettere a tacere quel giudice critico interiore, che ci sta accusando di essere inadeguati proprio perché abbiamo commesso un errore comportamentale, e ammettere le proprie deficienze. In realtà, ammettere i propri errori può diventare una esperienza intensa e catartica. 
  • Chiedere scusa: sentire ed esprimere un sincero rammarico, senza mettersi sulla difensiva, appellandosi alla propria empatia. E’ forse più facile evitare di scusarsi, facendo in modo di non ripetere più l’errore commesso, ma il risultato dal punto di vista relazionale non è affatto lo stesso. Inoltre, è possibile che sia decisamente difficile chiedere scusa per danni emotivi che magari non ci sono del tutto chiari, ma la relazione ne trarrà grande beneficio.  

4- Decidere di modificare il proprio comportamento, affinché l’errore non si ripeta. Se non si attuano cambiamenti comportamentali reali, le scuse hanno poco valore. Assumersi la responsabilità di un errore significa fare ammenda, ovvero impegnarsi sinceramente a mutare il comportamento che ferisce l’altro.  

La competenza emotiva nei rapporti d’amore comporta l’evitare giochi di potere, esponendo con trasparenza e gentilezza al partner quello che si desidera. Chiedere ciò di cui si ha bisogno nella relazione, senza aspettarsi che il partner lo capisca da solo (perché il partner non è un mago, è solo una persona) è un buon modo per assumersi la propria responsabilità nella relazione. Al tempo stesso, è importante ascoltare i bisogni del partner, poiché nel rapporto si hanno pari diritti ed insieme, equamente, si può contribuire al successo della relazione.

Affrontare il proprio vissuto emotivo, ed esporlo al partner. Ciò significa acquisire una maggiore consapevolezza di sé, indispensabile per accrescere la conoscenza dell’altro. Una buona autoconsapevolezza favorisce un’espressione sana degli affetti; al contrario, l’analfabetismo emotivo, quell’incapacità di “ascoltarsi” e sintonizzarsi sulle emozioni altrui, è troppo spesso causa di rottura della relazione.

La sincerità è la base di un rapporto d’amore sano, dove essere sinceri significa esporre ciò che si desidera, esternare i propri sentimenti, chiedere scusa, tutte ottime modalità per invitare implicitamente il partner a fare lo stesso.

È sano, altresì, non fare ciò che non si desidera, almeno entro certi limiti. L’eccesso di adattamento e compiacenza crea rancore, producendo un credito interiore, che, prima o poi, si desidererà riscuotere, senza trovare necessariamente l’altro disponibile a rimborsarci.