Eustress e distress, differenze
Ci preoccupiamo del distress, lo stress negativo, logorante e dannoso. Poco si parla dell’eustress e di come possa migliorare la nostra vita.
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Lo stress è un termine derivato direttamente dalla fisica dei materiali e traslato in psicologia per indicare tutte quelle situazioni di “carico” che possono mettere alla prova le nostre capacità di resistenza fisica e mentale.
Non esiste però solo lo stress dannoso per la salute, il distress, ma anche una sua controparte positiva: l’eustress, che dovremmo tutt’altro che evitare.
Stress: cosa lo definisce “buono” o “cattivo”?
Gli psicologi, studiando le connessioni corpo-mente, si resero conto quanto gli eventi e le difficoltà della vita possano influenzare il benessere fisico e psicologico delle persone. Fu nel 1936 che Selye (1956) mutuò il termine stress dalla fisica dei materiali per adattarlo a descrivere questa condizione di “carico” a cui possono trovarsi variamente sottoposte le persone man mano che affrontano i problemi della vita.
Chi accusa disturbi psicosomatici come gastriti, coliti, mal di testa o insonnia. Chi rischia l’insorgenza di problemi cardiovascolari. Chi, ancora, può esprimere uno stato di esaurimento con sintomatologie ansioso-depressive: si perdono energie e interesse per le proprie attività, ci si sente inutili e demotivati e al tempo stesso costantemente preoccupati, perennemente in allarme e in uno stato di tensione.
Altre persone, al contrario, risultano gestire piuttosto bene le difficoltà della vita e trovare soluzioni creative per superarle.
Stress “buono” e “cattivo”?
Cosa distingue i due gruppi? Cosa, in altre parole ci consente di discriminare lo stress “buono” – l’eustress – dallo stress “cattivo”, cioè il distress?
I primi psicologi che tentarono di rispondere a questa domanda partirono da un presupposto comprensibile ma piuttosto ingenuo e cioè che fosse possibile assegnare un “punteggio” a varie tipologie di eventi che possono accadere nella vita di una persona e desumere, in base alla frequenza con cui si verificano, il carico di stress e quindi il rischio di malattia a cui essa è sottoposta.
Fu questo il razionale con cui si ideò la prima scala dei cosiddetti “eventi stressanti” (Holmes e Rahe, 1967): una lunga lista di accidenti più e meno gravi, che possono verificarsi nella vita.
Ben presto gli studiosi di resero conto di quanto fosse stato ingenuo il presupposto dal quale erano partiti: sebbene certi eventi potessero apparire obiettivamente più gravi o catastrofici di altri sul piano concreto (un terremoto confrontato con un cambiamento lavorativo ad esempio) questo non bastava a definire in quali condizioni una persona vivesse un maggiore o minore stress (o meglio distress).
Ci si rese conto, infatti, che – a differenza di quanto avviene per la fisica dei materiali – l’impatto degli eventi non è definito solo dall’evento in sé, ma dal modo in cui la persona lo interpreta e da quanto essa percepisce di avere a disposizione risorse (esterne ed interne) sufficienti a fronteggiarlo.
Si comprese meglio allora in come mai la gravità concreta di determinati eventi non fosse da sola sufficiente a prevedere il grado di stress ed esaurimento da esso provocato. Qualcuno, ad esempio, può aver attraversato esperienze terribili eppure dimostrare di saper utilizzare questi trascorsi per vivere una vita piena, appagante e magari dedita a una causa. Ne è un esempio illustre la giornalista e scrittrice palestinese Rula Jebreal.
Altri possono invece andare completamente perduti per eventi che sembrerebbero assolutamente relativi e superabili sul piano concreto: si pensi all’alto tasso di sucidi in Giappone o secondo la cultura orientale, innescati spesso da eventi come il licenziamento, e alla connessione di questo con la cultura cinese della vergogna.
Cos’è il distress
Dunque un evento risulterà fonte di eustress o distress a seconda del significato che assegniamo ad esso e alle capacità che ci riconosciamo di fronteggiarlo.
Quando lo stress diventa distress vuol dire che nell’esperienza soggettiva vi è un disequilibrio fra le richieste dell’ambiente e le risorse che si ritiene di avere a disposizione per rispondervi. Percepirsi vittime di ciò che accade, sperimentare vissuti di impotenza e disperazione sono gli indicatori più affidabili del fatto che lo stress rischia di logorare e danneggiare la salute fisica e psicologica della persona.
E non sono tanto gli stress “occasionali”, i gradi eventi straordinari, a incidere da questo punto di vista. Si è visto che ciò che più influenza a lungo termine la salute sono i piccoli stress ripetuti, quelle condizioni croniche e pervasive che una persona si ritrova a subire quotidianamente.
Nelle situazioni di distress le persone, sentendosi schiacciate dagli eventi e incapaci di fronteggiarli, possono far ricorso a strategie di coping disadattive che rischiano di aggravare il problema.
Possono, ad esempio, cercare in ogni modo di “distrarsi” dal problema magari cedendo alla fame emotiva, facendo shopping o consumando alcolici. Queste strategie evitano di prendere contatto con i vissuti stressanti e le preoccupazioni a essi correlate ma non aiutano a risolvere il problema…
L’eustress e le “sfide” della vita
Nella scala di Holmes e Rahe c’erano anche eventi che definiremmo almeno potenzialmente “positivi”: un matrimonio, un trasloco, la nascita di un figlio. Questo è molto interessante per due motivi. Ci dice anzitutto che lo stress in sé non è né buon né cattivo, ma fa riferimento ad un lavoro psicologico con cui la persona cerca di operare un adattamento ad una situazione di cambiamento (che appunto può essere anche positivo).
In secondo luogo, ci fa vedere quanto tali cambiamenti possano essere fonte di crescita o di malattia non in base al loro piano fattuale, che non può essere considerato scontatamente positivo o negativo (si pensi al fenomeno della depressione post-partum che secondo l’ONDA interesserebbe circa il 10-15% delle neomamme), ma al modo in cui vengono interpretati dalla persona.
Molti eventi possono rappresentare occasioni di resilienza in cui una persona riesce non solo ad attraversare le difficoltà, ma a rafforzarsi, crescere attraverso di esse. L’eustress è definito proprio da questa capacità di saper dare una risposta cognitiva positiva ad un evento percependolo come una sfida piuttosto che come una calamità.
Si pensi a una situazione piuttosto ordinaria come potrebbe essere una partita di calcio: attiva un livello si massima attenzione e concentrazione e stimola a mettere in campo tutte le proprie capacità; in altre parole la competizione è fonte di stress ma anche di piacere e soddisfazione, di motivazione a raccogliere la sfida e a fare del proprio meglio.
Naturalmente per far questo occorre affidarsi a delle strategie di coping positive:
- concentrarsi sul problema (certo non distrarsi)
- gestire le proprie emozioni (senza farsi sopraffare dall’ansia)
- affidarsi alla propria motivazione e, se utile, anche all’aiuto che può venire anche da altri (nel nostro esempio un allenatore magari).
Nessun evento per quanto grave o catastrofico ci colpisce del tutto passivamente, rappresenta sempre una sfida alle nostre capacità di adattamento, un’area potenziale su cui possiamo intervenire modificando i nostri schemi di comportamento o i nostri atteggiamenti per recuperare padronanza su quanto ci accade.
Bibliografia
Holmes TH, Rahe RH (1967) The social readjustment rating scale. J Psychosom Res 11:213–218.
Selye H., (1956) The Stress of life. McGraw-Hill (Paperback), New York