L’empatia tra bambini: come svilupparla
L’empatia è una capacità che i bambini sviluppano gradualmente man mano che procede la loro maturazione cognitiva e la capacità di differenziare i propri stati mentali da quelli altrui. Se aiutati a parlare delle emozioni i bambini affinano le loro capacità empatiche e cognitive
L’empatia si sviluppa nei bambini di pari passo con la maturazione sociocognitiva e la capacità di differenziare sé stessi dagli altri.
Da quello che è un semplice contagio emotivo si affina via via la capacità di comprendere gli stati emotivi altrui e di assumere il ruolo dell’altro.
Questo processo si porta a compimento tuttavia solo con l’adolescenza e lo sviluppo di un più integrato senso di identità.
Ma parlare delle emozioni e imparare a dar loro un nome può risultare un ottimo “training” nel contesto familiare e scolastico per sviluppare capacità empatiche e prosociali dei bambini.
Nominare le emozioni aiuta a sviluppare l’empatia
Dalle più semplici emozioni di base, come rabbia, paura o tristezza a quelle più complesse e “socializzate” come il senso di colpa: non esiste emozione in sé buona o cattiva se i bambini imparano a riconoscerla e a darle un nome.
Affinare l’intelligenza emotiva nei bambini migliorerebbe non solo lo sviluppo dell’empatia, ma anche quella che in psicologia è definita la Teoria della Mente: la più generale capacità di riconoscere che gli altri sono in possesso di stati mentali, intenzioni o motivazioni autonomi, diversi dai propri e alla base dei loro comportamenti.
Un recente studio condotto dall’Università di Milano-Bicocca e di Manitoba in Canada conferma questo: interventi scolastici sulle capacità socioemotive dei bambini della scuola primaria, come l’empatia stessa, migliorano anche le loro capacità sociocognitive e di Teoria della Mente.
Come si sviluppano delle emozioni
Empatia e Teoria della Mente
Lo studio in questione ha studiato gli effetti di un programma di intervento proposto a 110 bambini di alcune scuole elementari milanesi teso a migliorare la loro competenza emotiva.
Ai bambini venivano fatte ascoltare storie a forte contenuto emotivo in seguito alle quali, ad una metà di loro (gruppo di controllo) veniva semplicemente chiesto di fare un disegno; all’altra metà (gruppo sperimentale) veniva invece proposto di partecipare per 2 mesi ad un gruppo di discussione sulle emozioni suscitate dalla lettura delle storie.
I bambini di quest’ultimo gruppo hanno rivelato di aver sviluppato, rispetto al gruppo di controllo, una maggiore capacità di comprensione delle emozioni, una maggiore empatia e un miglioramento della facoltà sociocognitive implicate nella Teoria della Mente. Questi risultati permanevano anche ad un follow up a 6 mesi.
L’empatia nei bambini, in altre parole, può essere sviluppata fin dall’età scolare aiutandoli a riconoscere e a nominare le emozioni: questo favorirà la loro capacità di riconoscere e immedesimarsi negli stati emotivi altrui e di comprendere e prevedere i comportamenti degli altri facendo inferenze sui loro stati mentali.
Lo sviluppo dell’empatia
In psicologia sullo sviluppo uno dei modelli teorici più accreditati sullo sviluppo dell’empatia e delle capacità prosociali nei bambini è quello di Martin Hoffman (Empatia e sviluppo morale, Il Mulino, Bologna, 2006) che definisce l’empatia come “una risposta affettiva più consona alla situazione di un altro che non alla propria”.
Secondo Hoffman l’empatia è una capacità che muove e integra componenti affettive e cognitive allo stesso tempo secondo modalità e gradi di sofisticazione differenti che compaiono in parallelo con la maturazione psicologica del bambino e l’acquisizione di una sempre maggior capacità di distinguere sé stesso dagli altri.
Nell’arco del primo anno di vita i bambini non possiedono che una capacità empatica globale, ovvero la capacità di rispondere in via riflessa, per semplice “contagio emotivo”, alla sofferenza altrui in una condizione di sostanziale confusione fra sé e l’altro: quanto accade è percepito come se accadesse a sé stessi.
Solo dopo il primo anno di vita i bambini svilupperebbero quella che Hoffman definisce un’empatia egocentrica e quasi-egocentrica dove i bambini, davanti alle sofferenze di un'altra persona, intervengono sostanzialmente per lenire il disagio che queste provocano a sé stessi (distress empatico) o offrendo l’aiuto che loro stessi vorrebbero ricevere.
Questo perché nel bambino è presente, in linea con le teorie di Piaget sullo sviluppo cognitivo, una forma di pensiero rigidamente egocentrico in base alla quale il bambino percepisce tutto ciò che gli accade come riferito a sé stesso.
Solo con lo sviluppo del linguaggio, verso i 3 anni e poi con la comparsa di una forma di pensiero più decentrato verso i 6-7 anni (l’età degli scolari della ricerca milanese) si sviluppano nei bambini capacità empatiche più mature. Con esse aumenta la capacità, mediata dal linguaggio, di assumere una differenziazione fra gli stati mentali propri e altrui e di fornire un aiuto, appunto come lo definisce Hoffman, appropriato alla specificità della situazione.
Solo in adolescenza, infine, si svilupperebbe un’empatia che, oltre alla situazione contingente, valuterebbe le generali condizioni di vita e la persona nella sua globalità integrando valori e giudizi morali.
Queste diverse forme di empatia secondo Hoffman non sono soppiantate da quelle più sofisticate ma permangono insieme: le espressioni non verbali di sofferenza sono quelle che continuano a suscitare forme di “contagio” empatico e involontario anche nell’adulto.
Invece, empatizzare con richieste verbali di aiuto o tener conto del racconto di terzi piuttosto che della nostra conoscenza personale richiede competenze emotive e cognitive più mature che consentano di immedesimarsi nella sofferenza altrui in qualità, ma non in quantità, senza cioè farla propria, ma mantenendo un sufficiente distacco per poter fornire l’aiuto necessario.
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