Come sconfiggere la paura della morte
La paura della morte è un’angoscia che accomuna tutti gli esseri umani, ma può assumere anche le caratteristiche di una fobia specifica e diventare un vero e proprio disturbo psicologico. Vediamo meglio in cosa consiste.
La paura della morte riguarda in primo luogo noi esseri umani che in quanto esseri autocoscienti abbiamo nella nostra mente il concetto di morte e di finitudine della nostra esistenza (cosa che naturalmente gli animali non hanno).
Questo porta con sé la paura della fine e della perdita della propria vita o di quella dei propri cari. Su questa consapevolezza/condizione esistenziale si inscrivono da un lato fattori culturali e sociali che possono facilitare o rendere difficile l’elaborazione del lutto e del morire.
Dall’altro eventi traumatici e catastrofici in cui si viene a contatto con l’imminente pericolo della morte propria o di altri che possono dar luogo a fenomeni post-traumatici.
In ultimo fattori di personalità, eventi della vita psicologica individuale che possono far sì che la paura della morte assuma i contorni di una specifica fobia, in questi casi viene definita tanatofobia.
La tanatofobia
La paura della morte, quando assume i connotati di una fobia specifica, rientra in quelli che vengono definiti dal DSM V come disturbi d’ansia.
Il pensiero angoscioso della morte e del morire può essere innescato dalla recente notizia della morte di qualcuno, non necessariamente un congiunto prossimo del soggetto, e iniziare a diventare una preoccupazione ossessiva che impegna gran parte delle energie cognitive dell’individuo diventando una sorta di “chiodo fisso” che egli non riesce volontariamente a scacciare, nonostante ne possa riconoscere l’irragionevolezza.
In questi casi la tanatofobia deve essere trattata come un disturbo psicologico vero e proprio accedendo ad un percorso di psicoterapia.
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La paura della morte nella società “liquida”
Esistono anche condizioni psicosociali che possono condurre ad una paura della morte o comunque ad un atteggiamento difficile con essa. Questo può accadere spesso nella società attuale, quella post-modernità che Bauman definiva “liquida”, priva di punti di riferimento tradizionali e istituzionali e principalmente incentrata sulle risorse individuali.
È proprio in questo venir meno del senso di appartenenza/responsabilità della vita comunitaria che si possono rintracciare molti atteggiamenti di paura/negazione della morte nella nostra contemporaneità. Inoltre viviamo in un’epoca fondata sull’immagine e su ideali di successo e di bellezza che vedono nel mito del corpo eternamente giovane l’unico prototipo vincente come se si dovesse vivere in un eterno, immutabile presente.
C’è poco spazio per il corpo che invecchia, per il tempo che passa, siamo in un certo senso meno psicologicamente equipaggiati per affrontare la paura della morte, sembriamo avere, oggi, meno strumenti per decodificarla e per iscriverla in rituali collettivi, in categorie di senso comunitarie. Ne possono conseguire atteggiamenti di negazione che rifiutano di elaborare la paura della morte lasciando che essa rimanga un’angoscia sospesa e sottaciuta in un mondo che si sente costretto sempre più spesso a fare della realtà un virtuale eterno presente.
Paura della morte e condizione umana
Eppure la paura della morte, lo sgomento che ci assale nel momento in cui veniamo a contatto con la nostra vulnerabilità esistenziale, non è una questione da poco: è ciò che ci rende umani (cioè esseri mortali e al tempo stesso autocoscienti della propria condizione) ed è, da altri punti di vista, qualcosa con cui veniamo in contatto anche molto prima di prendere coscienza del concetto di morte.
Agli esordi della nostra vita biologica viviamo fin da subito un’alternanza fra stati di estremo bisogno e stati di intensa soddisfazione e appagamento: ogni neonato è preda di forti stati di angoscia quando percepisce uno stato di bisogno ed è questa paura dell’annichilimento che innesca tutta una serie di comportamenti tesi a suscitare le cure e le sollecitudini della madre.
Veniamo al mondo percependo uno stato disperato di bisogno, non possiamo provvedere a noi stessi in nulla e questo ci getta in uno sconforto inizialmente totalizzante e ci stimola in maniera del tutto innata a innescare legami di attaccamento. Sono gli esordi delle interazioni affettive, dello sviluppo psicofisico, in altre parole della vita.
Allo stesso modo noi adulti possiamo fare tesoro della consapevolezza della nostra condizione mortale, del limite arbitrario e incontrollabile dato alla nostra vita: nient’altro potrebbe motivarci a costruire significati, progetti e a godere del momento presente.
“Morire non è nulla; non vivere è spaventoso” (Victor Hugo)
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