Il disturbo di personalità evitante: il peso dello sguardo dell'altro
Il disturbo di personalità evitante racchiude in sé il bisogno di costruire relazioni intime e profonde, ma anche la paura e il dolore per un eventuale rifiuto e l'umiliazione legata all'eventuale fallimento della relazione. La persona con un disturbo di personalità evitante si sente inferiore agli altri e, tendenzialmente, manca di quell'adgredior necessaria per vivere la vita. Ma come si contiene e si supera questo disturbo?
Il disturbo di personalità evitante lo troviamo tra i disturbi di personalità del Gruppo C del DSM IV-TR. Il disturbo evitante di personalità, fa notare Glenn O. Gabbard, viene diagnosticato non solo in base ai criteri diagnostici del DSM IV, ma anche attraverso una diagnosi differenziale con il disturbo schizoide di personalità. Inoltre, continua, spesso troviamo il disturbo di personalità evitante insieme con altri disturbi di personalità o con un'altra diagnosi sull'asse I del DSM. La persona che soffre di disturbo di personalità evitante teme costantemente il giudizio degli altri, ha bassa autostima, facilmente soffre di stati depressivi e si sente un pesce fuor d'acqua in moltissime situazioni che, per i più, rientrano nella quotidianità ordinaria. Il sentimento più invalidante? La vergogna.
Il disturbo di personalità evitante: diagnosi
Il DSM IV-TR definisce il disturbo di personalità evitante come "un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza ed ipersensibilità al giudizio negativo, che compare entro la prima età adulta, ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
- evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale;
- è riluttante ad entrare in contatto con persone, a meno che non sia certo di piacere;
- è inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato;
- si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali;
- è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di non adeguatezza;
- si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore agli altri;
- è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali, o ad ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante".
Perché non ci sia confusione e diagnosi cliniche errate, è necessario fare diagnosi differenziale con alcuni disturbi in particolare, quali disturbo schizoide di personalità, fobia sociale, disturbo dipendente di personalità, disturbo narcisistico di personalità e disturbo paranoide di personalità.
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Il disturbo di personalità evitante: "Lui è meglio di me!"
Chi soffre di disturbo di personalità evitante vive costantemente in un desiderio profondo di stabilire relazioni intime, che però non riesce a soddisfare in quanto il proprio vissuto di inadeguatezza, la sensibilità esasperata per il giudizio del mondo, la paura della critica e del rifiuto, sono talmente forti da inibirlo nelle sue modalità di scambio. La persona con un disturbo di personalità evitante parte dal presupposto che l'altro ha sempre ragione, che il giudizio esterno è sempre il migliore e che ogni comportamento, anche rifiutante, è comunque comprensibile, in quanto lui stesso si percepisce come persona indegna di ricevere stima e amore. Pensa che l'altro sia sempre migliore più competente di lui.
Per evitare di incappare in tutta questa serie di vissuti, la persona con disturbo di personalità evitante tende a non stabilire relazioni intime ma a mantenere esclusivamente legami familiari consolidati e sicuri: di solito lavora, ma evita accuratamente di fare carriera. Sembra quasi che alla persona con disturbo evitante di personalità manchi quell'adgredior necessaria a muoversi nella vita, manchi la capacità di muoversi nel mondo, come se nessuno gli avesse fornito gli strumenti necessari per camminare in autonomia a testa alta. A volte, chi soffre di disturbo di personalità evitante tende a fare uso di alcool che, tendenzialmente, aiuta a sedarsi quando bisogna affrontare situazioni sociali. Le cause sono da ricercarsi in legami affettivi molto antichi: mancanza di figure che spingono alla vita e eccessiva presenza di un materno ingombrante e rifiutante possono aver contribuito alla genesi del disturbo di personalità evitante.
Il disturbo di personalità evitante: la vergogna
Di solito la vergogna è una emozione che la persona con disturbo di personalità evitante vive costantemente: essere esposto allo sguardo degli altri significa mostrare la propria inadeguatezza. Gabbard fa notare che la vergogna deriva dalla radice kam, che vuol dire nascondere, celare. E infatti la persona con disturbo di personalità evitante tende a nascondersi allo sguardo del mondo. In un'ottica reichiana è molto interessante come viene interpretato il vissuto della vergogna. La vergogna nasce da una cattiva canalizzazione della pulsione sessuale che, vissuta come inappropriata e come qualcosa da dover gestire e non vivere, viene bloccata. Anche il tipico rossore sulle guance è indice di un'energia che non riesce a scaricarsi e rimbalza verso l'altro, provocando una serie si reazioni neurovegetative, tra cui il rossore. Ogni pulsione e ogni movimento vitale vengono vissuti come qualcosa da nascondere al mondo, qualcosa di inadeguato e che gli altri possono scoprire: per impedire questo la persona si rifugia lontano e si nasconde, ovvero, evita il mondo.
Il disturbo di personalità evitante: terapie
Per trattare il disturbo di personalità evitante, Gabbard suggerisce la psicoterapia espressivo-supportiva; altri propongono la terapia cognitivo-comportamentale che aiuti nell'assimilare nuovi schemi di comportamento. Spesso vengono utilizzati farmaci, soprattutto nelle fasi iniziali di una terapia, per contenere ansia a depressione. Importante è stabilire un'alleanza profonda e stabile con il paziente. La persona con disturbo di personalità evitante ha bisogno di fidarsi: le sue poche relazioni sono quelle familiari e questo ci fa comprendere quanto sia importante costruire insieme un setting analitico in cui la persona non possa sentirsi minacciata dalla vergogna, dall'umiliazione e dal rifiuto. La qualità di una relazione terapeutica è fondamentale nel processo di guarigione.
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