Hikikomori: la reclusione volontaria che viene dal Giappone
Gli hikikomori sono giovani adolescenti che si chiudono in una stanza e in loro stessi, affrontando il mondo solo attraverso lo schermo di un computer
Il termine Hikikomori è purtroppo molto noto in Oriente, dove la reclusione volontaria degli adolescenti nella propria camera da letto è diventato un fenomeno diffuso. Nella lingua giapponese, questo termine è composto da due vocaboli: hiku (indietreggiare) + komoru (isolarsi), ad indicare una vera e propria fuga dal mondo reale, per rintanarsi in un luogo angusto e protetto dove i rapporti sono filtrati e regolati dalla tecnologia.
Gli hikikomori possono restare isolati anche per anni, accuditi dai familiari disorientati che, regolarmente, passano cibo e quanto necessario dalla porta. Le cifre sono sorprendenti: in Giappone si contano casi per l’1% della popolazione, tra cui il 2% degli adolescenti. Il fenomeno si va estendendo verso la Corea, gli USA, il Nord Europa e l’Italia.
Hikikomori, problematica sociale
Nonostante l’uso di Internet e dei videogiochi sia un elemento caratteristico della vita di questi autoresclusi, non si assiste a una forma ‘pura’ di dipendenza da internet, bensì ad un fenomeno di stampo sociale. Il dottor Tamaki Saito, maggior esperto degli hikikomori, chiarisce in un’intervista le cause alla base di questa drastica decisione.
Il Giappone è caratterizzato da una cultura comunitaria dove l’individuo e il suo successo costituiscono un elemento fondamentale per la riuscita del gruppo. Le aspettative personali e sociali sono elevatissime e poche brutte esperienze (fallimento scolastico, fenomeni di bullismo, genitori assenti, ecc…) possono diventare l’incipit di una discesa e di un costante aumento di sentimenti quali impotenza, depressione e incapacità. Lentamente l’adolescente non si sente più in grado di affrontare la realtà: per questo si rifugia in un luogo fisicamente più sicuro da cui osservare il mondo attraverso una finestra protetta.
Hikikomori, dal Giappone all’Italia
Secondo Saito, anche in Europa si possono trovare fenomeni di emarginazione simili, sebbene in Giappone sia più frequente che i giovani restino a casa. Spesso i genitori nipponici crescono i figli perché questi li accudiscano in vecchiaia: è normale dunque che vivano nella casa paterna anche fino a 40 anni. Nei paesi in cui i giovani vengono spinti all’indipendenza, la probabilità che diventino hikikomori diminuisce. Sempre secondo Saito, i nostrani ‘mammoni’ sono da considerarsi un campione a rischio e lo stesso studioso riferisce di numerose richieste d’aiuto dall’Italia. Nel nostro Paese, infatti, il fenomeno si sta proponendo con caratteristiche simili, nonostante le differenze culturali tra le due nazioni.
A Milano, la realtà di riferimento è l’istituto Minotauro e, nello specifico, Gustavo Pietropolli Charmet e Antonio Piotti. Anche in Italia si registra un aumento di hikikomori: nell’ultimo anno si sono già rivolti a questo istituto più di venti coppie di genitori. Si tratta, per la maggior parte, di ragazzi maschi al di sotto dei 18 anni che decidono di rinchiudersi nella loro stanza: il record è “una reclusione” di 4 anni.
Secondo Piotti, si riscontra più di un analogia con il fenomeno giapponese: “Innanzitutto la vergogna narcisistica. Lo scarto tra il loro desiderato e il reale è troppo forte. Colpa anche delle eccessive aspettative dei genitori….. Ma mentre i ragazzi giapponesi fuggono da regole troppo severe, i nostri scappano dall’incapacità di gestire relazioni di gruppo”. In ogni caso, questi ragazzi decidono di sostituire la realtà con il virtuale. Il computer non è il punto di partenza, bensì quello d’arrivo. Un luogo accogliente e riparato in cui l’adolescente può agire preservando la propria ‘faccia’ dalla vergogna.
Consigli per i genitori di un hikikomori
L’attenzione sta diventando crescente, anche grazie ai filmati che mostrano l’esperienza di un hikikomori. Quali sono i consigli che si possono dare a quei genitori che cominciano a sospettare qualcosa? Saito riferisce che la prima reazione può essere quella di spronare il ragazzo a scrollarsi di dosso questo stato di apatia, ma i rimproveri peggiorano solo la situazione.
L’accettazione del problema e la creazione di un clima familiare rispettoso di quanto stia accadendo e attento ai bisogni espressi dall’adolescente, sono il modo migliore per fare accettare all’hikikomori una terapia o l’aiuto di un professionista.
In Giappone ci sono anche le ‘sorelle in prestito’ (rental onesan), coetanee che cercano di fare breccia nell’isolamento del ragazzo per creare un primo contatto con la realtà. Sebbene non si tratti di un percorso terapeutico, alcune di queste ragazze riescono a colmare il vuoto di fiducia nei confronti del mondo risvegliando un adolescente assopito.
Immagine | Montysponge