Mental Coach novello Virgilio?
A cosa serve un Mental Coach, qual è la differenza con il motivatore e come può essere utile per esplorare le nostre risorse cognitive
Il mental coach è un allenatore mentale. L'affermazione, ancorché tautologica, può disorientare. Se qualcuno ci consigliasse degli esercizi utili a rinforzare la memoria, se ci spiegasse un buon metodo di studio, se ci assegnasse dei compiti per imparare a rimanere più a lungo concentrati, la questione potrebbe sembrarci più tangibile, ma non lo sarebbe più di quanto non sia parlare di risveglio del potenziale, intelligenza emotiva, meditazione, focalizzazione e visualizzazione. L'assenza di ogni presunta scientificità nei metodi e il fatto che il mental coach sia una figura professionale non regolamentata, può far presumere che si tratti di una figura non qualificata. Nondimeno ciò che qualifica una persona è il suo comportamento. Come ha scritto James Hillman: "Il comportamento crea anima".
A cosa serve un mental coach?
La questione è dunque: a cosa serve un mental coach? L'aleatorietà dei benefici è commisurata all'ampia incertezza sul funzionamento del cervello. La diceria che noi usiamo solo il 10% del suo potenziale è, tra le altre cose, un'abile modo con cui gli imbonitori di questo settore fanno della facile propaganda per convincere le persone sulla necessità di avere al fianco un mental coach. Fughiamo da subito qualsiasi dubbio. Pensiamo alle cose che oggi siamo, a quello che abbiamo e a quelle che facciamo. Pensiamo a quali di queste cose sono necessarie per vivere.
Ora, invece, pensiamo a quali di queste abbiamo scelto semplicemente perché rendono la nostra vita migliore.
Il cervello è un apparato molto dispendioso in termini di consumo di ossigeno e di elementi nutritivi. Ha una massa pari a solo il 2% dell'intero corpo, ma assorbe il 20% dell'intero fabbisogno energetico. Si potrebbe fare leva su questo per incitare ciascuno di noi ad apprendere come usarlo per rendere la nostra vita migliore, ma per capire cos'è un mental coach e a cosa serve può giovare partire da lontano, chiamando in aiuto una figura controversa: Osho, maestro di meditazione. Partiamo dal presupposto che noi occidentali pensiamo troppo e non sempre bene. Dire che pensiamo troppo e sostenere l'utilità di un mental coach potrebbe essere come vendere il ghiaccio agli Eschimesi, o come un'opera di Escher, o come risolvere il celebre paradosso di Russell («In un villaggio c'è un unico barbiere. Il barbiere rade tutti (e solo) gli uomini che non si radono da sé. Chi rade il barbiere?»). Potrebbe, ma non lo è.
Osho ha scelto il proprio nome prendendo a prestito il termine osheanic, coniato dal filosofo pragmatista americano William James. Con questo termine, James indicava l'esperienza del dissolversi nell'oceano dell'esistenza. Già Sant'Agostino aveva ravvisato nel mare il simbolo dell'inconsistenza ontologica, ma James - insieme a Ralph Waldo Emerson - è il filosofo che, amalgamato al protestantesimo anglosassone, ha generato motivatori, predicatori, pionieri della realizzazione personale e anche invasati, fanatici e sette. Ciononostante, dagli incantatori di serpenti dell'India alle televendite di videocorsi sulla crescita personale, c'è un fil rouge ed è persino sensato. Il seme del loro sapere non è semplicemente il fare, ma l'essere in atto (e non solo potenzialmente).
Mental coach non equivale a motivatore
Il mental coach, dunque, è una guida che ci ispira e stimola ad agire per realizzare il nostro fato. Naturalmente il modo in cui lo fa è strettamente legato al suo percorso, alle sue qualità, alle sue competenze. Certo, però, è che il mental coach non è un motivatore e basta. Ponendo attenzione ai processi culturali, è estemporanea la riproposizione in chiave italica di quei modelli di motivatori e trainer che trovano in Anthony Robbins, Jack Canfield, Brian Tracy, Robert Kiyosaki, Zig Ziglar e altri simili, i baluardi dell'autostima e della fiducia in se stessi, non perché non siano efficaci, ma perché possono ostacolare e ritardare il viaggio interiore. Le indicazioni che danno - probabilmente le migliori sono quelle di Robbins - hanno senso e valore, ma non sono direttamente mutuabili per noi o per culture dissimili da quella americana. Vanno praticate e interpretate nel contesto. Sin da quando Toqueville scrisse La Democrazia in America nel 1835, ripercorrendo a sua insaputa le riflessioni che Montesquieu aveva scritto in Lo Spirito delle Leggi, è chiaro che i membri di una società sono pervasi da uno spirito particolare e legato al modo in cui quella società si è costituita e vive. Un mental coach non ha il compito di confezionare il vestito, ha il dovere di nobilitare ogni essere nella sua natura e liberare il suo potenziale affinché si esprima al meglio e ottenga il meglio da sé e dagli altri. Il suo compito è conoscere e ascoltare prima, sostenere e guidare poi.
Il mental coach: un mediatore tra essenza ed esistenza
Se la nostra mente è debole, noi cederemo. Se la nostra mente è forte, saremo forti anche nella sconfitta. Una mente forte non ci permette di ottenere tutto quello che vogliamo, ma ci permette di accettarlo, nonostante non l'abbiamo ancora ottenuto. Ci permette di difenderlo e realizzarci in esso. La mente non esaurisce in sè la vita dello spirito, delle emozioni e dell'energia vitale. Osho diceva che siamo eccessivamente sbilanciati nel pensiero, non a caso più è occidentalizzata una società più sono diffusi i disturbi nevrotici. "Pensiamo" a come risolvere i nostri problemi senza avvederci che non tutti sono risolvibili "pensando", e che altri sono generati proprio dal "pensare". Sappiamo che la mente è molto potente e ci affidiamo interamente ad essa, trascurando gli altri centri vitali. Per questa ragione Osho consiglia (già lo aveva fatto il terapeuta Whilelm Reich) di praticare la fatica fisica, il lavoro, l'esercizio sportivo perché ha una grande importanza e utilità: più siamo coinvolti in un esercizio e più la consapevolezza diventa centrata, cominciando a scendere dalla mente. Esiste una sapienza del corpo e la fatica fisica è essenziale per risvegliare l'intero essere e per la stessa agilità della mente. Poiché, nella vita, il desiderio da solo non è sufficiente, ma sono necessari anche la determinazione e lo sforzo, questa pratica orienta la mente.
Il Mental Coach e il viaggio interiore
Il mental coach, dunque, è chi ci accompagna nel viaggio interiore, nell'esplorazione delle nostre risorse cognitive, emotive, fisiche. È chi ci guida e ci sostiene in una discesa che a volte può essere simile a quella dantesca, è una figura che da Virgilio in avanti ha in un certo senso il compito di attraversare la selva e gli inferi per riportarci a rivedere le stelle, cambiati, consapevoli e liberi.
Manuel Righele
Immagine: Dariusz Klimczak, Tree