Il ruolo dell'insegnante nella sua Giornata
Il 5 ottobre si celebra la Giornata mondiale degli insegnanti, un mestiere che troppo spesso è costretto a far parlare di sé attraverso scioperi e titoli di giornali piuttosto che aule scolastiche. Recuperiamone il senso in occasione di questa giornata
Il 5 ottobre si celebra la giornata mondiale degli insegnanti, una giornata che ricorre in tutto il mondo dal 1994 e che è stata istituita dall’UNESCO.
La scarsa importanza che viene data non solo agli insegnanti ma alla Scuola pubblica nel suo complesso deve, oggi più che mai, far riflettere perché questo significa non investire sull’infanzia e quindi non investire sul futuro e qualunque nazione rinunci a questo si avvicina un po’ ad un lasciarsi morire.
Il mestiere dell’insegnante è o dovrebbe essere animato da tutto l’opposto: dalla fiducia in ciò che può svilupparsi, in quello che potrà venire ma che oggi ancora non c’è, che non si può già toccare con mano.
Quella dell’insegnante è una scommessa quotidiana che dovremmo reimparare ad apprezzare: non si può diventare adulti se prima non lo siamo stati nella mente di qualcun altro.
La giornata mondiale degli insegnanti
La “scommessa” insita nel mestiere di qualunque educatore la aveva colta meglio forse di molti altri lo psicologo sovietico Lev Vygotskij con il suo concetto di “zona prossimale di sviluppo”, quel potenziale che ogni allievo ha in sé per superare le sue attuali capacità e che può sviluppare solo grazie all’aiuto di altri.
In questa concezione sta tutta la valenza interattiva e relazionale dell’apprendimento: l’insegnante non è colui che deve riempire delle menti “vuote” con delle conoscenze o dei saperi precostituiti, ma promuovere, nella relazione con l’allievo – e fra gli allievi – lo sviluppo e la realizzazione del potenziale di ognuno.
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Il successo dell'insegnamento attraverso l'errore
Leggo questa mattina sulla pagina social di uno studio di consulenza pedagogica queste parole: “Per imparare a camminare i bambini devono cadere. Per imparare a mangiare da soli devono sporcarsi. Per imparare a costruire intere frasi devono prima pronunciare singole parole. Per imparare a controllare la rabbia, devono essere prima liberi di arrabbiarsi. E le prime volte lo faranno inevitabilmente male!” .
Credo che non valga solo per il mestiere di genitore, ma anche per quello dell’insegnante: saper fare dell’errore di un allievo non un simbolo di rinuncia o di fallimento, ma un primo inevitabile passo verso il successo che solo imparando dai propri errori si potrà autenticamente raggiungere.
Forse, mi dico, vale anche per l’insegnante stesso che, posto di fronte ad una Scuola pubblica in perenne mutamento, a classi indefinitamente numerose, ad allievi con esigenze sempre più speciali, eterogenee e diversificate deve affidarsi all’errore per trovare ogni giorno un modo, una strada che forse domani sarà già tutta da reinventare.
"Ciò che l'insegnante è, è più importante di ciò che insegna." scriveva Kierkegaard, è forse allora questo l’augurio più bello.
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