Credere alle false notizie o difendersi dalla disinformazione?
Nell’era dei media e della comunicazione in cui viviamo siamo esposti quotidianamente a fonti sovrabbondanti e spesso ridondanti di informazioni; giornali, internet, tv e social network: non è facile distinguere le fonti realmente attendibili, spesso finiamo col credere alle false notizie anche quando queste vengano successivamente smentite. Quali le fonti e le cause della disinformazione e come è possibile difendersene?
Un recente studio pubblicato da Stephan Lewandowsky e colleghi sulla rivista Psychological Science in the Public Interest analizza le fonti e le cause della disinformazione mediatica con cui spesso vengono veicolate false notizie che gran parte del pubblico continua a ritenere vere anche a dispetto di successive smentite (Lewandowsky, S., et al., Misinformation and its correction: Continued influence and successful debiasing. Psychological Science in the Public Interest, 13, 106-131, 2012). Perché credere alle false notizie? E’ possibile smentirle con messaggi che siano recepiti altrettanto efficacemente dal pubblico?
Credere alle false notizie: una ricerca
Le prove dimostrano che i vaccini non causano l'autismo, il riscaldamento globale è effettivamente in corso e che il presidente Obama è effettivamente nato negli Stati Uniti. Perché allora la gente continua ancora a credere il contrario nonostante le smentite di false notizie come queste? Questa la domanda di fondo dello studio di Lewandowsky e colleghi sugli effetti della disinformazione.
Due gli aspetti principali emersi che entrerebbero in gioco: le persone nel valutare le informazioni privilegiano strategie di pensiero automatiche e accolgono più facilmente notizie o versioni delle stesse che vadano a confermare credenze e sistemi di valori che già possiedono.
Credere alle false notizie: il risparmio cognitivo
Se facciamo riferimento alla Teoria del percorso periferico della persuasione elaborata nel 1986 da Richard Petty e John Cacioppo le persone possono continuare a credere alle false notizie nonostante eventuali rettifiche o smentite semplicemente perché non in grado o non motivate ad operare un esame attento degli argomenti proposti continuando ad affidarsi piuttosto a stili “periferici” di risparmio cognitivo che privilegiano fattori più superficiali quali ad esempio la gradevolezza della fonte e la capacità comunicativa dell’emittente.
Credere alle false notizie: la dissonanza cognitiva
Altre ricerche e teorie sulla psicologia della comunicazione persuasiva indagano l’effetto delle informazioni mediatiche prendendo in considerazione non solo i contenuti dell’informazione, ma anche e soprattutto il profilo motivazionale e sociale dei fruitori.
Una potente spinta motivazionale a credere alle false notizie potrebbe essere rappresentata dalla tendenza, nel valutare un messaggio, a ridurre quella che Leon Festinger (1957) definì Dissonanza Cognitiva: saremmo più propensi a scegliere di accettare come vero ciò che conferma ed è in accordo con quelle che sono le nostre precedenti opinioni piuttosto che argomentazioni o alternative che rischiano di smentirle o contraddirle.
Credere alle false notizie: messaggi brevi e “personalizzati”
Lo studio di Lewandowsky e colleghi sembra confermare queste teorie e suggerisce come, nel contrastare false notizie servano messaggi che veicolino informazioni corrette con brevità e immediatezza tenendo in considerazione punti di vista e atteggiamenti che possono influenzare il modo con cui il pubblico riceve un determinato messaggio.
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