La vocazione secondo la psicologia

La vocazione religiosa può essere supportata nel cammino discernimento spirituale dalla figura dello psicologo, che non si sostituisce alla guida spirituale ma aiuta a distinguere le ragioni che orientano la scelta.

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Seminaristi e novizie possono rivolgersi all'esperto in ambito psicologico per affrontare i propri dubbi vocazionali? Come interviene la psicologia nel percorso del discernimento religioso? Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Cristina Rubano, psicologa, psicoterapeuta specialista in Psicologia della Salute.

 

Discernimento vocazionale, cosa significa?

Il discernimento vocazionale è il percorso, umano e spirituale, che la persona fa dentro sé stessa per arrivare a comprendere in che modo possa rispondere con il suo progetto di vita alla chiamata di Dio. In questa accezione, il discernimento vocazionale può essere inteso in senso lato come qualunque processo che porti una persona di fede a discernere e comprendere quale scelta di vita sia più autenticamente in linea col progetto cui si sente chiamata nel proprio rapporto con Dio. 

 

In questo può rientrare sia la scelta della vita matrimoniale che di quella consacrata. In un’accezione più ristretta, si parla spesso di discernimento vocazionale in riferimento alla comprensione e valutazione della scelta al sacerdozio e alla vita consacrata.

 

I percorsi formativi e religiosi che accompagnano i giovani in questo processo prevedono, non di rado, un’attenzione/valutazione non solo della dimensione spirituale e di fede, ma anche di quella psicologica della persona. Il discernimento vocazionale fa infatti riferimento al concetto di vocazione inteso come risposta personale che ogni persona di Fede è tenuta a dare alla chiamata di Dio

 

Le caratteristiche di personalità e la maturità psico-emotiva della persona vengono ad essere quindi dei presupposti rilevanti per la capacità di discernimento e di assunzione di responsabilità e impegno in uno specifico progetto di vita, quale è la forma che la vocazione sarà destinata ad assumere.

 

La vocazione ha a che vedere con la realizzazione personale. Può diventare per questo motivo"materia" per psicologi?

La dimensione psicologica e quella spirituale non devono essere viste in contrasto o competizione fra loro, ma rappresentano due aspetti complementari nel processo di discernimento vocazionale.

 

Sarebbe fuorviante ridurre la vocazione a un aspetto esclusivamente psicologico, quale è quello della realizzazione personale, giacché essa prevede che la persona dia senso e significato alla propria esistenza
proprio superando una dimensione individualistica e personale per abbracciarne una sovrapersonale dove è la Fede e il rapporto con Dio a orientare i comportamenti e le scelte individuali (Del Core, 2002).

 

Ciò non vuol dire però che il contributo della psicologia non possa essere importante: se intendiamo la vocazione essenzialmente come “chiamata” è evidente che essa implica necessariamente una soggetto
umano che risponde, una soggetto il cui sviluppo della personalità e costruzione dell’identità – dimensioni queste squisitamente i pertinenza della psicologia – possono risultare determinanti per il discernimento e
la scelta della “risposta” più appropriata e autentica.

 

Riconoscere le implicazioni delle dimensioni psicologiche, oltre che spirituali, in questo, consente di ridefinire la vocazione non come “stato” ma come “processo”, un processo che, al pari della maturazione della personalità, è destinato ad andare avanti per tutta la vita in un’ottica di sviluppo e adattamento costante e costantemente in divenire (Stein, 1959). 

 

È per questo motivo che alcuni Autori (Del Core, 2002) rifiutano di identificare la risposta vocazionale con l’adesione/realizzazione di un “ideale” di sé (Rulla, 1975). Una concezione che rischia di apparire illusoriamente perfezionistica e generare confusione, delusione e disillusione nel novizio. La scelta della propria vocazione è solo l’inizio: essa si rinnova, si modifica e matura lungo tutto l’arco della vita, in parallelo con la personalità e la maturazione individuale e con le fisiologiche difficoltà e crisi evolutive della persona. La strutturazione di un’identità integrata e coesa rappresenta dunque un presupposto importante del discernimento vocazionale. 

 

Se l’identità è fragile e poco strutturata, quella che può sembrare una scelta vocazionale rischia a volte di rivelarsi un tentativo, del tutto inconsapevole, di assumere un’identità “fittizia”, di colmare quello che in alcuni casi è un “vuoto” interiore della persona che, non sapendo chi è e chi vuol diventare, va alla ricerca di uno “status” che offra una risposta rassicurante ma artefatta che rischia di rivelarsi problematica e/o deludente nel lungo periodo.

 

Questo rappresenta un aspetto quanto mai importante oggi, che viviamo in una società liquida di identità spesso altrettanto cangianti, superficiali e fittizie. Una società dove l’accento viene posto sulla dimensione di scelta e libertà individuale che lascia al singolo il diritto/dovere di inventarsi e reinventarsi, all’infinito se necessario, per ottenere gratificazione e successo che spesso rischiano di rivelarsi superficiali e illusori. 

 

Non per niente è stato da più parti sottolineato come questa sia l’epoca del narcisismo, l’epoca cioè in cui la sofferenza soggettiva si esprime proprio attraverso vuoti interiori, fragilità identitarie e vulnerabilità
narcisistiche.  Questioni che possono appartenere a tutti, uomini e donne, laici e religiosi. 

 

Quale contributo può dare la psicologia al discernimento e alla formazione religiosa?

È importante chiarire che non è compito della psicologia discernere la vocazione della persona, ma lavorare con essa per aiutarla a costruire/consolidare i presupposti psicologici (in termini di maturazione della personalità e integrazione dell’identità come si è detto) che possono sostenerla in tal senso. 

 

L’oggetto dell’intervento psicologico in questi casi – che sia  consulenziale o psicoterapeutico – non è la vocazione tout court, ma le dimensioni della psiche che possono consentire alla persona di fare una scelta autentica e assumersi la responsabilità di essa.

 

L’intervento psicologico non fornisce risposte sulla scelta vocazionale, piuttosto mette la persona in condizione di poter effettuare tale scelta. In quest’ottica diventano oggetto di attenzione non solo le criticità del paziente (in termini di confitti o carenze evolutive della personalità), ma anche le sue risorse personali, sociali, spirituali.

 

Quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare perché mette in condizione la persona di consolidare, accanto a una dimensione estrinseca della religiosità (importante certo, ma non sufficiente in un percorso di
discernimento), una dimensione intrinseca facente riferimento al rapporto personale, intimo con Dio (Allport e Ross, 1967). 

 

È stato osservato come questo aspetto possa rivelarsi molto importante per la maturazione della personalità individuale e come un’esperienza di Fede o di conversione religiosa rientri a piano titolo fra quelle esperienze trasformative che – al pari di una psicoterapia – possono incidere sui modelli di attaccamento individuali orientandoli verso un polo di maggior sicurezza (Rossi e Aletti, 2009).

 

È bene sottolineare come in questi casi l’intervento psicologico non si svolga mai in un’ottica “ortopedica”/valutativa: l’obiettivo non è quello di certificare una sorta di “idoneità”, ma di promuovere la crescita della persona mettendola in condizioni di fare una scelta più matura e consapevole.

 

Proprio perché l’intervento psicologico si configura con delle proprie specificità in un’ottica complementare con quello che è il percorso spirituale e formativo del novizio è molto importante che questo sia attuato da un professionista esterno e ben distinto dal formatore/guida spirituale, sia per motivi deontologici che clinici.

 

Lo psicologo potrà essere una figura cui la persona che effettua una scelta di vita consacrata o sacerdotale potrà far riferimento anche dopo, lungo l’intero arco della propria esistenza giacché, come si è accennato, portare avanti e vivere la propria vocazione non è esente da fisiologiche “crisi” e difficoltà che, interfacciandosi con le sfide evolutive nell’arco di vita, possono rappresentare preziose opportunità di crescita e rinnovamento della propria scelta vocazionale. 

 


Bibliografia
Allport G.W. & Ross J.M. (1967). Personal religious orientation and prejudice, Journal of Personality and Social Psychology, 5, 432-443.

Del Core P. (2002). Psicologia e vocazione.

Quale rapporto? Possibilità e limiti dell'intervento, in: T. Cantelmi, S. Paluzzi & E. Luparia, Gli dei morti son diventati malattie. Psichiatria, psicologia e teologia in dialogo, SODEC Edizioni Romane di Cultura, Roma.

Rossi G. & Aletti M. (2009). Psicologia della Religione e teoria dell’attaccamento, Aracne, Roma.

Rulla L. M., Psicologia del profondo e vocazione. Le persone, Marietti, Torino 1975.

Stein E. (1959). Vocazione dell'uomo e della donna secondo l’ordine della natura e della grazia, In: La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, trad. it. Città Nuova Editrice, Roma, 1995.