Criminal profiling: intervista a Massimo Centini

Come si costruisce il profilo psicologico criminale? Perché siamo così affascinati dalle storie della cronaca nera? Abbiamo intervistato Massimo Centini, autore di "Criminal profiling. Come si costruisce un profilo psicologico", per saperne di più

Criminal profiling: intervista a Massimo Centini

È in libreria Criminal profiling. Come si costruisce un profilo psicologico, un volume che nasce per spiegare al pubblico cos'è un profio psicologico criminale e come si costruisce. L'autore è Massimo Centini: laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, ha insegnato “Storia dell’antropologia criminale” ai master di Criminologia organizzati dal “Santo Spirito” di Roma e ai corsi organizzati da MUA - Movimento Universitario Altoatesino – di Bolzano. È autore di numerosi volumi editi da Xenia,. È autore di numerosi volumi editi da Xenia, tra i quali ricordiamo I Serial Killer, La criminologia. Comportamenti criminali e tecniche d’indagine. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sul criminal profiling.

 

Cos’è il criminal profiling?

Il criminal profiling è quella disciplina che si occupa di costruire i profili dei criminali per facilitarne l’identificazione. Naturalmente l’argomento si  presenta ben più complesso e articolato di quanto sembrerebbe risultare dalla precedente definizione. Inoltre, se da un lato il metodo suggerito dal criminal profiling sembra fondarsi su folgoranti intuizioni e capacità deduttive (come proposto soprattutto dalla letteratura e dal cinema),  all’altro (il piano della realtà) è costituito da un insieme di conoscenze e di strumenti che sono frutto di studio, ricerche, comparazioni. A tutto ciò  si aggiunga che il criminal profiling non sostituisce l’investigazione classica, la criminalistica e tutte quelle procedure che sono frutto di  esperienze e lavoro sul campo, ma offre una serie di strumenti di grande utilità da porre accanto ai tradizionali sistemi adottati nella lotta contro il crimine.

 

Negli ultimi due secoli l’indagine investigativa si è evoluta anche grazie ai progressi scientifici e alla letteratura poliziesca: quali sono le tappe fondamentali di questo percorso?

Mettiamo subito in chiaro due aspetti importanti: nell’indagine criminologica che intenda dirsi scientifica affermazioni come “elementare Watson” non le pronuncerà mai nessuno; in secondo luogo, quell’esclamazione non è mai stata detta neppure dal mitico Sherlock Holmes, ma gli è stata attribuita in una delle numerose riscritture cinematografiche. Il percorso è complesso a articolato: dalle intuizioni di Cesare Lombroso  (1835-1909) alle moderne tecniche legate al dna vi è un abisso. Indicare delle “tappe” non è facile: possiamo semplicemente dire che  l’acquisizione di metodi di analisi sempre più sofisticati (del soggetto criminale, della scena, dei campioni, della vittima, ecc.), accanto ad un atteggiamento di valutazione più scientifico, ha certamente alzato la qualità dell’azione criminalistica.

 

Quali sono gli elementi da cui partire per definire un profilo psicologico criminale?

Partendo dalle informazioni provenienti dalla scena del crimine, il lavoro del profiler si snoda attraverso un non facile percorso nel quale sono chiamate a svolgere un ruolo di appoggio discipline di vario genere, non necessariamente legate alla criminologia tout court. Il suo compito di “esperto” (definizione non accettata da tutti e che naturalmente muta nelle diverse lingue) può risultare di grande utilità per il lavoro degli investigatori ai quali fornisce concrete informazioni sul colpevole, il quale acquista una fisionomia strutturata sulla base delle sue caratteristiche comportamentali.

 

Dalla cronaca nera alle trasmissioni tv, i delitti sembrano essere diventati ormai protagonisti del nostro quotidiano: come mai secondo lei c’è tutto questo interesse per il crimine? Non si rischia di scadere nel morboso?

Sembra che la “stagione degli omicidi” non abbia più fine. La sua fuga prospettica non lascia intravedere neppure un’interruzione: quando sembra attenuarsi l’eco di un evento che ha sconvolto l’opinione pubblica, se ne afferma un altro, altrettanto sconvolgente e violento. E se non possiamo sapere quando finirà questo vortice di criminalità spettacolarizzata dai media, abbiamo però un dato certo sul suo inizio: una mattina piovosa di fine gennaio 2002, quando a Montroz, una frazione di Cogne, il piccolo Samuele Lorenzi viene ucciso in modo orribile nel letto dei genitori. L’epilogo è ben noto, anche se non è altrettanto noto che quel terribile evento in un certo senso diede la stura al circo mediatico che da allora ha creato una sorta di bozzolo parassitario intorno alle vicende criminali più truculente. Dai tempi di Cogne la locomotiva dell’informazione ha solo accelerato, trovando propellente nella morte senza colpevoli di Chiara Poggi, di Meredith Kercher, nel ritrovamento dei poveri resti di Elisa Claps, nella fine assurda di Sarah Scazzi, o nella terribile attesta di un epilogo che si annunciava scontato della vicenda della quasi bambina Yara Gambirasio, fino al clamore assordante creato intorno all’omicidio di Melania Rea.

 

Nell’inarrestabile pressione esercitata su queste vicende, i media disseppelliscono e seppelliscono continuamente le vittime, dando vita a veri e propri processi televisivi, in cui indizi, rilievi, testimonianze, intercettazioni e “colpi di scena” sono gli ingredienti di un cocktail che stordisce e allontana dalla realtà. Da Cogne a Novi Ligure, da Erba e Garlasco, da Avetrana a Brembate, le vicende drammatiche di questi ultimi anni fanno audience: filmati di sopralluoghi della Scientifica si confondo con le scene di “C.S.I.”, ci sono indagati che sfruttano la diretta televisiva per depistare, per stravolgere la verità, ma tutto serve ad aumentare lo share…

 

Il suo libro vuole aiutare il lettore a conoscere il male, ma anche ad affermare la gioia del bene: in che modo questa consapevolezza può influenzare la nostra crescita personale?

Io mi occupo di storia delle criminologia e delle ricadute antropologiche del crimine sulla società, quindi la mia quindi non può essere una risposta “positiva”: il male esiste e sfugge a ogni volontà di analisi razionale. Conoscerlo è importante, ma non credo, in questo caso, all’assunto: “se lo conosci lo eviti”… Il problema è più complesso di quanto possa sembrare e la dicotomia bene/male è troppo semplicistica e forse banale. Credo che, parafrasando Nietzsche, il problema sia quello di non diventare schiavi delle adulazioni del male perché guardando a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di noi. La crescita personale, per quello che ne so, credo debba trovare propellente in quei valori che ci aiutano a dare un senso al nostro esistere, accettando i limiti della nostra specie e del nostro essere solo uomini.

 

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