Socializzazione familiare e tossicodipendenza

Come incide la socializzazione familiare nell'insorgere della tossicodipendenza. La famiglia italiana, le specificità psicologiche e comportamentali dei tossicodipendenti

Le trasformazioni dell’istituzione familiare

È abbastanza diffuso un particolare punto di vista  che fa risalire l'esistenza della famiglia estesa, di tipo patriarcale, esclusivamente al periodo preindustriale, fornendone un'immagine quasi idilliaca. Questa concezione tende a presentare questo tipo di famiglia in opposizione a quella odierna, che sarebbe il frutto della decadenza del periodo che segue la rivoluzione industriale, e che non sarebbe in grado di fornire una rete protettiva di obblighi reciproci.

 

Non si possono accettare generalizzazioni di tipo mitico che rappresentano la storia dell'istituzione familiare come un pro­gressivo e inarrestabile degrado a partire da un’età dell'oro. Inoltre, non si può assumere un modello di famiglia come rappre­sentativo di un'intera epoca: nell’età preindustriale esisteva­no, come del resto oggi, diversi tipi di famiglia. Esistevano famiglie estese e famiglie ristrette, a seconda di vari fattori che interagivano con la cultura sociale locale (attività econo­mica del capofamiglia, i diversi diritti di successione, esistenza o meno di una rete di solidarietà locale) (Labos 1991a,28-29; Saraceno,1988,21-26). Inoltre, la famiglia del passato appare molto più instabile, di fatto se non di principio, di quella contemporanea (Saraceno,1988,29).

 

La famiglia di quell'epoca, secondo Edward Shorter (Kertzer D.I., "Famiglia contadina e urbanizzazione", Bologna, 1981, p.12), era un meccanismo con fini di produzione e riproduzione del tutto privo di sentimentalismi. Secondo Shorter, ad esempio, la madre in questo tipo di famiglia "doveva sottostare a ben altre priorità che non a quelle di provvedere al benessere della propria prole, impegnata com'era a procurare di che vivere in un mondo ostile. Neanche i legami coniugali erano maggiormente radicati nell'affetto, dal momento che le coppie si costituivano per ragioni materiali piuttosto che emotive" (citato da Labos, 1991a,29).

 

Se il modello di organizzazione familiare prevalente era quello di unità produttiva, il matrimonio avveniva quando sia l’uomo che la donna erano in grado di apportare risorse economiche, sotto forma di dote, di titolarità di un mestiere, di accesso ereditario alla terra ed erano anche in grado di comportarsi da forza-lavoro adulta. Se prevaleva la necessità di stabilire alleanze e di garantire una discendenza, allora il matrimonio poteva avvenire in età più precoce, specie per la donna (Saraceno,1988,96).

 

“Nelle società tradizionali, l’amore è percepito come potenzialmente pericoloso e distruttivo delle strategie familiari e della stessa stabilità matrimoniale (...); perciò i matrimoni non vengono lasciati alla decisione dei singoli e allo stesso sentimento amoroso viene negato valore rispetto al rapporto coniugale (a favore del rispetto, o della deferenza, o dell’interesse)” (op.cit.,103). A proposito del contenuto idilliaco della famiglia del passato occorre ancora ricordare che la scoperta dei diritti dell'infanzia, la valorizzazione dell'amore coniugale, la liberazione del ruolo femminile all'interno della convivenza familiare sono tutte acquisizioni recenti (Labos 1991a,30).

 

Nella seconda metà del Settecento si avvia quella trasformazione culturale da cui nascerà la moderna famiglia mononucleare. A livello politico e giuridico, si afferma la concezione della famiglia come società naturale e come cellula originaria della società, e questa concezione viene fatta propria dalla Chiesa. Nello stesso tempo la famiglia diventa il centro per eccellenza degli affetti e dei sentimenti umani. In conseguenza a ciò, cominciano a nascere i matrimoni d'amore, dove il desiderio sessuale e il sentimento diventano una componente essenziale. È questa trasformazione culturale che avvia la nuclearizza­zione della famiglia e che indebolisce la rete solidale e paren­tale: infatti, l'amore coniugale e il valore sentimentale che caratterizzano la nascente famiglia favoriscono il distacco della nuova famiglia da quella di origine. Questo distacco è favorito anche dalle trasformazioni sociali, politiche ed economiche che hanno condotto alla rivoluzione industriale e all'avvento del capitalismo.

 

La privatizzazione della terra e l'introduzione del diritto romano contribuisce ulteriormente a spezzare i nuclei familiari estesi, e l'urbanizzazione conseguente al decollo industriale conclude il processo di trasformazione della famiglia preindustriale e contadina (Labos 1991a,30-31; Bandini et al., 1991,498). Il tratto che caratterizza la famiglia contemporanea dalla famiglia tradizionale è dunque la centralità del legame sentimentale: ci si sposa per amore, per amore si rimane sposati, per mancanza di amore si può decidere di rompere un matrimonio (Saraceno,1988,102).

 

La famiglia italiana

Negli anni '70, sotto la spinta di grandi movimenti culturali e della crisi economica, si è delineato un nuovo modello di famiglia. In questo contesto si sviluppa la tesi della crisi della famiglia, in quanto essa ha in parte perso le sue tradizio­nali funzioni in seguito ad un suo "svuotamento funzionale" ed all'incrementarsi di una tendenza della famiglia a nutrire larghe aspettative verso lo Stato sociale per la soluzione dei propri bisogni. In questo periodo, inoltre, si realizza un cambiamento significativo: la libertà e la volontà individuale diventano la base dei legami familiari, dal momento che, con l'introduzione del divorzio nella legislazione italiana, diventa possibile scio­glierli. Il "Nuovo diritto di famiglia" stabilisce la parità dei coniugi e abolisce la patria potestà (Labos,1991a,31-32; Bandini et al.,1991,498-499).         

 

Gli anni '80 sono caratterizzati dal passaggio da un unico modello di famiglia ad una pluralità di modelli diversi. Inoltre la tesi dell'isolamento della famiglia nucleare non viene confermata, mentre viene verificata la tendenza ad una certa continuità nei rapporti parentali, nonché la tendenza alla strutturazione di reti amicali. Non è confermata, inoltre, la perdita completa  delle funzioni tradizionali della famiglia, che hanno assunto forme diverse in seguito alla ristrutturazione dei ruoli e delle relazioni interne alla famiglia e alle interazioni con l'ambiente esterno. Questa ristruttura­zione e' avvenuta grazie all'efficienza dei canali comunicativi all'interno della famiglia e nell'interazione con l'ambiente esterno (Labos,1991a,32-34; De Leo,1990,68-69). L'Italia mantiene tuttavia alcune sue caratteristiche che la dif­ferenziano dagli altri paesi europei; sembra essere l'unico paese in cui, accanto a strutture più nuove, persiste una struttura familiare di tipo tradizionale (Labos,1991a,34; Cavalli,1993a, 211-212; Bandini et al.,1991,506).

 

Sono state individuate due specificità della famiglia italiana:

 a) il fenomeno della "famiglia lunga". L'80% del campione di giovani (tra i 15 e i 29 anni) esaminato nell'ultima ricerca IARD vive in famiglia. Questo accade anche una volta terminati gli studi e dopo un inserimento stabile nel mondo del lavoro. Il fenomeno è stato interpretato da molti come effetto di un persi­stente "familismo", di una tradizione culturale di origine contadina e di matrice cattolica che assegnerebbe alla famiglia un prolungato ruolo protettivo nei confronti dei figli anche quando questi siano ormai, per molti aspetti, dei giovani adulti. Nel determinare questo stato di fatto, ha il suo peso anche la situazione del mercato delle abitazioni e degli affitti: non è facile, per un giovane, soprattutto nelle grandi città, andare a vivere per conto proprio per evidenti ragioni economiche (Caval­li,1993a,211-214; Bandini et al.,1991,506-507; Saraceno,1988,44;108). Si tratta di un fenomeno che distingue l’esperienza italiana da quella di altri paesi europei. A titolo d’esempio, nei primi anni Ottanta solo il 26% dei giovani danesi tra i 20 e i 24 anni e solo l’11% delle ragazze della stessa fascia d’età viveva ancora con i genitori. E nella Repubblica Federale Tedesca ciò valeva rispettivamente per il 43% e il 31% dei giovani uomini e donne della stessa età (Saraceno,1988,44).

 

b) nel resto d'Europa (ad eccezione della Spagna) vi è una relativamente alta percentuale di giovani che vivono da soli e di "coppie di fatto". Le “coppie di fatto” risultano il 7,7% del totale delle coppie conviventi in Olanda, mentre in Svezia si stima che si aggirino attorno al 20%. In Italia non accade nulla di simile: all’ultimo censimento, che le ha rilevate per la prima volta, le coppie non coniugate risultavano essere l’1,4% del totale (op.cit.,53). Per la grande maggioranza dei giovani italiani "andare a vivere fuori casa" vuol dire sposarsi. La stretta connessione tra indipendenza abitativa e matrimonio potrebbe indurre a pensare che i giovani tendano a sposarsi precocemente, ma in realtà questo non accade. I dati demografici sull'età dei coniugi al momento del matrimo­nio dimostrano che la tendenza attuale è di sposarsi sempre più tardi (Cavalli,1993a,214-216; Saraceno,1988,115-119).

 

  Questi dati confermerebbero il ritardo del nostro Paese nei confronti di un modello di sviluppo della famiglia che prevede, nelle sue fasi più avanzate, la più grande permissività nei confronti della sessualità prematrimoniale, lo sviluppo del controllo delle nascite, la relativa emancipazione della donna, l'inversione della tendenza ad una diminuzione progressiva dell'età del matrimonio, il forte calo della fecondità, l'aumento del numero dei divorzi. Un'evoluzione in tal senso determinerebbe la sempre maggiore diffusione di "famiglie di fatto", accanto a famiglie legalmente sancite, con il conseguente sorgere di una serie di problemi concernenti la disciplina di tali unioni e il destino dei minori nati in tale ambito. Tale modello si sarebbe già sviluppato compiutamente in altri paesi europei, come Svezia e Danimarca (Bandini et al.,1991,498-499).

 

Socializzazione familiare e tossicodipendenza

 A proposito delle difficoltà che incontra la famiglia come agenzia di socializzazione, è stato sostenuto che un tempo i genitori, nell'educare i figli, riproponevano le stesse modalità con cui loro stessi erano stati educati. Questa riproposizione, naturalmente, non provocava gravi conflitti. Oggi tutto questo è impossibile, perché molti dei vecchi valori e delle vecchie strutture sono state criticate e spesso distrutte. In generale si può affermare che le trasformazioni sociali sempre più rapide, la frequente occupazione di entrambi i genitori, l'urbanizzazio­ne, la frequente mobilità delle famiglie sono tutti fattori che provocano nuove e profonde difficoltà nella socializzazione dei giovani (Bandini, Gatti,1987,223-224). Il fatto che le famiglie di oggi, specie in alcune regioni, abbiano un solo figlio, o al massimo due, è un’ulteriore fonte di difficoltà: il figlio non ha la possibilità di misurarsi, in ambito familiare, con chi è un po’ più grande o un po’ più piccolo, e i genitori difficilmente riescono ad accumulare esperienza per fronteggiare le fasi di crescita dei loro figli (Saraceno,1988,161).

 

L'analisi della famiglia effettuata da C.Baraldi parte dalla constatazione che i mutamenti intervenuti nella struttura familiare hanno portato ad una "sentimentalizzazione" della comunicazione tra coniugi e genitori e figli: l'amore è diventato la base per la comunicazione tra i membri della famiglia. I partecipanti vengono considerati come persone uniche e specifiche alle quali viene attribuita un'importanza primaria. Nulla di ciò che è rilevante per un partecipante può essere escluso dalla comunicazione; questo è ciò che viene chiamato intimità. Nell'amore è centrale la reciprocità: ogni persona e' trattata come assolutamente rilevante da ogni altra. Di conseguenza, i partner sono motivati a partecipare alla comunicazione perché trovano la conferma di loro stessi nella prospettiva dell'altro.

 

La famiglia è l'unico sistema sociale in grado di includere e tematizzare come rilevante l'intera persona degli individui, ma l'amore è spesso problematico. La crisi dell'amore sembra dipendere dalla necessità di autonomia personale dei partner che può essere minacciata da un eccesso di intimità. L'individuo può essere incapace di sopportare l'obbligo di impegnarsi, e trovare insopportabile doversi affidare al partner per l'autocon­ferma. Alla fine la comunicazione intima diventa insopportabile. Questa fonte di crisi è tipica di famiglie moderne basate sull'amore, e può portare a conflitti e/o separazioni tra i coniugi, così come alla rottura del legame tra genitori e figli. Ma la crisi dell'amore non si presenta in questo modo in tutte le famiglie: le famiglie deprivate economicamente e culturalmente, ed eventualmente conflittuali e disgregate, presentano spesso somiglianze con le famiglie premoderne o preindustriali. La loro peculiarità è di essere una miscela di tradizioni relazionali non basate sull'amore e di problemi economici. Questo tipo di fami­glia e' premoderna nel senso che in essa l'amore è marginale o comunque subordinato alle relazioni obbliganti della tradizione (Baraldi,1994b,27-34).

 

"Pasolini aveva ragione ad osservare una mutazione antropologica ritardata nella popolazione giovanile italiana, con conseguenze devastanti. Le famiglie che si affacciano con ritardo alla modernità pagano il prezzo di un'esclusione prolungata dall'evoluzione della società moderna delle generazioni che hanno preceduto e socializzato coloro che le formano. E questo prezzo è un'elevata probabilità di fallimento" (op.cit.,35). Il presupposto fondamentale dell'autonomia personale è un tipo di comunicazione familiare nella quale la persona venga tematizzata come rilevante. Questo tipo di comunicazione inter­personale intima è tipica della famiglia moderna. Partecipando a tale comunicazione, l'individuo impara a pensare a se stesso come fonte autonoma di costruzione personale di significati (Baraldi, 1994b,101-102).

 

"Questo tipo di socializzazione caratterizza l'individuo che diventa adolescente, ed è costretto ad abbandonare il rassicurante senso di appartenenza alla famiglia che ne ha caratterizzato l'infanzia. Le numerose riflessioni della psicologia e della sociologia sulla formazione dell'autonomia e sui rischi della dipendenza durante l'adolescenza derivano dall'osservazione che proprio con l'adolescenza sorge la capacità di riflessione che determina l'unicità e la specificità dell'identità personale" (Baraldi,1992,350-351). È importante distinguere tra l'autonomia personale (che va acquisita) e l'autonomia psichica (che è inalienabile) (Baraldi,1994a,145). Il fatto che l'uso di eroina si trasformi facilmente in tossicodipendenza potrebbe indurre a pensare che l'individuo tossicodipendente non sia dotato di autonomia. Tuttavia, la sua autonomia psichica è fuori discussione. I tossicodipendenti hanno ragione di ritenere, come quasi sempre fanno, che la scelta dell'eroina dipende solo da loro; ma hanno ragione anche quando sostengono che questa scelta ha dei presup­posti sociali rilevanti (op.cit.,146).

 

L'assenza di comunicazione interpersonale intima in ambito familiare, producendo un vuoto strutturale, può favorire il sorgere della tossicodipendenza (op.cit.,167). "Il vuoto strutturale non soffoca la comunicazione tout court né produce necessariamente conflitti. Esso produce però comuni­cazione nella quale i contributi ed i temi sono casuali, irrile­vanti, noiosi ed inutili, estranei alle persone e alle forme fondamentali dell'intimità (amore, amicizia, frequentazione). È questa comunicazione, determinata da una crisi strutturale, che apre la strada a surrogati come la droga" (op.cit.,119). Il soffocamento della comunicazione interpersonale intima impedisce che acquistino significato i contenuti della comunica­zione (ad es., gli esempi di vita). Non è quindi determinante la mancanza di valori, come spesso viene sostenuto: il contenuto della comunicazione non ha rilevanza perché non c'è un riferimento alla persona di chi lo comunica e di chi lo compren­de. È come se per un bambino non ci fosse differenza tra un rimprovero di uno sconosciuto e un rimprovero dei genitori (op. cit., 168).

 

Gli adolescenti che non hanno ricevuto in famiglia una socializzazione caratterizzata dalla comunicazione personale intima avvertono questa mancanza nei rapporti extra-familiari. Le reazioni a questa mancanza di presupposti possono essere molteplici, ma la più probabile, perché appresa in anni di esperienza, è il ritiro, la demotivazione (op.cit.,170). I gruppi di tossicodipendenti sono caratterizzati dal progressivo azzeramento della comunicazione intima e proprio per questo sono rassicuranti per i tossicodipendenti. La rilevanza del gruppo è soltanto strumentale, in quanto manca un orienta­mento alla persona, che spaventa per la sua intimità (op.cit., 101).

 

Il tossicodipendente non sopporta di relazionarsi e di appartenere, ma non sa come evitarlo. La tossicodipendenza gli permette di evitare il confronto con gli altri, e costituisce per lui una liberazione (op.cit.,176). La tossicodipendenza è una forma anomala di conclusione dell'adolescenza, perché blocca il processo di socializzazione. "La dipendenza dalla sostanza chimica riempie il vuoto di aspettative e consente la fuga dalle relazioni. La tossicodipen­denza è un equivalente funzionale dell'autonomia individuale" (op.cit.,180). È degno di nota che da questo tipo di socializzazione conseguono grosse difficoltà nello stabilire normali relazioni d’amore anche prima dell’incontro con gli stupefacenti. (Baraldi,1994a,142). Durante la tossicodipendenza il sostegno reciproco tra eroina e amore crea una pallida illusione di rapporto amoroso. “In questo rapporto, il matrimonio è una finzione che non ha alcuna rilevanza per il tossicodipendente” (op.cit.,141). 

 

Questa impostazione permette di spiegare dove abbiano origine le differenze di percorsi evolutivi tra fratelli e/o sorelle che, provenendo dalla stessa famiglia, presentano nella loro biografia eventi e situazioni apparentemente condivisi. Da una parte, l'autonomia psichica di ogni individuo lo porta a costruire significati unici e specifici della realtà sociale conosciuta. Dall'altra parte, la situazione comunicativa che si sviluppa tra i genitori e figli diversi è legata alle differenze di età, alla differenza di comportamenti, alla differenza in genere (Baraldi,1994b,75-76).

 

Gli autori di una ricerca realizzata in 12 città italiane su di un vasto campione di congiunti di tossicodipendenti suggeri­scono la seguente immagine della famiglia, sulla base degli studi compiuti negli ultimi anni:

 "Da questi studi risulta nel complesso l'immagine di una famiglia:

   - imbrigliata passivamente e bloccata all'interno di modelli culturali, educativi e relazionali vuoti di contenuto propositi­vo;

   - che risente pesantemente delle più ampie trasformazioni socie­tarie, tanto da vedere messe in discussione le funzioni che classicamente le venivano attribuite;

   - che provoca il ricorso alle sostanze stupefacenti, come stru­mento per fronteggiare l'insicurezza esistenziale connessa con questa situazione" (Labos,1991a,113).

 

Il prolungamento della fase giovanile

"Se i riti puberali hanno lo scopo di sancire il distacco del ragazzo dalla famiglia per proiettarlo in un ruolo adulto, nella società contemporanea, in assenza di celebrazioni rituali collettive, il passaggio adolescenziale si configura come un tortuoso percorso individuale che si protrae nel tempo, in cui la progressiva separazione dal mondo onirico confusivo dell'infanzia e l'ingresso in quello maggiormente individuato e differenziato dell'età adulta si configura come un processo solitario e non lineare, caratterizzato da progressi e regressioni" (Riva,1990, 128).

 

Nelle società tradizionali il passaggio all'età adulta veniva sancito mediante veri e propri "riti di passaggio" che marcavano simbolicamente, e talvolta drammaticamente, la fine dell'adolescenza e l'ingresso nell'età adulta. Nelle società moderne i confini tra le varie età del ciclo di vita appaiono molto più sfumati ed incerti. Alcune ritualizzazioni sono rimaste (ad es., il conferimento di un diploma, o il matrimonio), ma il loro valore simbolico si è di molto attenuato. In generale, si può affermare che, nella società attuale, l'ingresso nell'età adulta è contrassegnato dall'aver varcato una serie di soglie:

 a) conclusione dell'iter formativo, o almeno di gran parte di esso;

 b) posizione relativamente stabile nel mondo del lavoro;

 c) abbandono della casa dei genitori e acquisizione di una casa propria;

 d) sviluppo di una relazione affettiva stabile ed eventuale matrimonio;

 e) assunzione di responsabilità nei confronti della generazione successiva mediante paternità/maternità.

 

 Nell'ultimo quarto di secolo, in tutte le società avanzate dell'Occidente, si sta verificando la tendenza a spostare in avanti, verso un'età anagrafica più avanzata, il superamento di queste cinque soglie, l'ordine delle quali non è rigidamente prestabilito. Inoltre la distanza temporale tra il superamento della prima e dell'ultima soglia tende ad allungarsi (Caval­li,1993a,206-207). I risultati di un’indagine condotta dall’Istituto per la ricerca sociale di Milano mostrano che i giovani intervistati collocano l’ingresso nella vita adulta oltre i 30 anni (43% degli intervistati), oltre i 35 (10% degli intervistati), con una media di 28 anni (De Leo et al.,1992,29). L'attitudine a prendere tempo sulle soglie dell'età adulta, dilazionando il proprio ingresso definitivo, sembra essere so­prattutto tipica di studenti di estrazione sociale privilegiata, ma caratterizza, in proporzioni più modeste, larghi strati di popolazione giovanile. Questa "moratoria" sembra essere diventata un tratto culturale di tutta una generazione, come se fosse diffusa l'idea che esista una sorta di "diritto a non crescere", e a non assumersi responsabilità di adulti (Cavalli,1993a.,217-219).

 

"Tutti questi fenomeni, ed altri ancora che operano nella stessa direzione, sono inequivocabilmente segnali di modernità e sono prodotti da processi largamente irreversibili. È evidente che la fase giovanile si allunga se le aspettative di vita sfio­rano ormai gli ottant'anni, è evidente che le società moderne richiedano sempre meno braccia muscolose e sempre di più menti addestrate a compiere operazioni complesse, è evidente che le donne non si rassegnino più ad un'esistenza confinata nella cura dei figli e nelle funzioni della riproduzione, è evidente che i giovani esplorino a lungo il campo delle scelte di fronte alla molteplicità, reale o fittizia, delle opportunità loro offerte. Tutti questi fenomeni concorrono a prolungare la giovinezza e sono intrinseci alla natura stessa delle società tardo-indu­striali" (Cavalli,1993b,235-236).

 

In questo contesto la famiglia riempie un vuoto sociale, fornendo al giovane un sostegno dal punto di vista economico e dal punto di vista simbolico, in quanto referente del suo quotidiano. Svolge le funzioni di orientamento socioculturale, di orientamento nella scelta dell’inserimento professionale, di supporto economico a coloro che sono impegnati in una formazione universitaria o in una specializzazione professionale, oppure a coloro che stanno cercando il proprio inserimento lavorativo. Nel nostro sistema sociale tali funzioni, se non fossero svolte dall’istituzione familiare, non sarebbero garantite da nessun’altra agenzia (De Leo et al.,1992,32). La famiglia d’origine si configura così come risorsa garantita, luogo del prolungamento a tempo indeterminato dello stato di dipendenza delle giovani generazioni (op.cit.,36).

 

 A proposito della situazione di rischio che queste situazioni possono determinare per alcuni giovani, è stato sostenuto che la permanenza protratta nella famiglia e nella scuola, la mancanza di occasioni concrete e socialmente rilevanti in cui sia possibile sperimentare e misurare ciò che si è acquisito in termini di autonomia, di assunzione di ruoli e di responsabilità, la limitatezza di ruoli soggettivamente rilevanti da svolgere, un tempo libero dilatato e dai confini spesso incerti, sono tutti fattori che definiscono una condizione particolarmente a rischio (Ravenna,1993,75).

 

Specificità psicologiche e comportamentali del tossicodipen­dente

 La caratteristica familiare generalizzata più evidente che può essere correlata alla tossicodipendenza è' l'assenza del padre come figura rilevante. L'assenza o la perifericità della figura paterna nelle famiglie di tossicodipendenti è un dato sul quale si trova un largo accordo nella letteratura specifica (Baraldi,1994a,148; Cancrini,1973,55; Segre,1993,23-26; Ri­va,1994,145; Labos,1991b,174; Bandini, Gatti, 1987,300-302; Olievenstein, 1984,97; Bergeret,1983,46). A proposito dell'assenza o della scarsa rilevanza della figura paterna in famiglie di giovani devianti, uno psicologo che opera nel carcere minorile di Milano ha sostenuto:  "Per molti padri l'esigenza di conferme e riconoscimento sociale comporta la sofferenza di un duro attaccamento ai ritmi della società industriale; costretti a tollerare e ad accettare le regole dell'ambiente di lavoro, tendono poi a scaricare i conflitti in famiglia e a relazionarsi in modo distorto in quanto vecchi e nuovi principi, in mancanza di una elaborazione, perman­gono come fonti di conflittualità.

 

Le carenze della figura paterna si traducono per il figlio in carenze nei processi di identificazione e quindi in una mancata introiezione di valori super-egoici di tipo paterno; la figura paterna resta sullo sfondo come un'ombra distante vissuta in modo più o meno persecutorio mentre, sul piano della strutturazione affettiva, domina l'importanza della figura materna (Giori,1990,245-246). Secondo G.De Leo, dal momento che "il padre ancora oggi rappresenta il modello normativo per la coscienza etico-sociale, la rottura del rapporto ragazzo-padre mette in crisi questo modello di identificazione", dando luogo a comportamenti devianti (De Leo,1990,66).

 

Olievenstein, trattando il tema dell'infanzia del tossicomane, evidenzia questo stesso aspetto: il padre "abdica al proprio ruolo paterno" (Olievenstein,1984,97). Questo studioso, psicoanalista lacaniano, sostiene che l'infanzia del tossicomane presenta avvenimenti e passaggi caratteristici, e colloca nella fase dello specchio (fra i 6 e i 18 mesi di vita) l'incidente che segna la vita del futuro tossicomane. In questo periodo il bambino si scopre, in uno specchio reale o simbolico, altro dalla madre; uno stadio dello specchio riuscito permette di costruire un Io diverso dall'Io fusivo con la madre. Continuando la metafora dello specchio, "proprio in questo preciso istante lo specchio si è infranto, rinviando un'immagine, ma un'immagine frammentata, incompleta, in parallelo ai vuoti lasciati dalle assenze dello specchio che non possono che rimandare allo stato antecedente: la fusione, l'indifferenziazione ... si intravede, folgorante, un futuro ineluttabile, segnato dalla nostalgia del paradiso perduto, dalla malinconia di essere e di non essere" (op.cit.,95).

 

La tossicomania affonda le sue radici nel verificarsi di qualcosa di intermedio tra uno stadio dello specchio riuscito e uno stadio dello specchio impossibile (op.cit.,90-92). Da allora in poi il tossicomane cercherà di annullare questa frattura primordiale: uno dei mezzi utilizzati sarà il consumo di eroina. "[Se si conoscono le qualità dell'eroina] si conoscono anche le sue qualità calorifiche, l'atmosfera che si viene a creare, che fanno si che ci si senta in un bozzolo, in uno sciropposo bagno tiepido, sprofondati nell'arcaico, nel pregenitale... da quel momento, in un modo insieme conscio e inconscio, il tossicomane cerca di rivivere, di rimettersi nella posizione di bambino piccolo, di annullare la frattura. Non desterà dunque sorpresa che egli tenti di prolungare tale posizione il più possibile" (op.cit.,88-89).

 

Cancrini, presentando il lavoro di Olievenstein, ne critica con puntualità alcuni aspetti: nota che le sue osservazioni individuano con esattezza la struttura di personalità di un buon numero di tossicomani, ma non si adattano a tutti. Gli effetti dell'eroina sembrano corrispondere effettivamente alla possibilità di confrontarsi con la ricomposizione di un'immagine di sé disperatamente inseguita da tempo. Ma nel caso, ad es., dei politossicomani, cui sembra addirittura indifferente l'effetto di una determinata sostanza piuttosto che di un'altra, la specificità dell'effetto del farmaco è assai meno evidente ed importante. Rileva inoltre che se si considera, come fa Olievenstein, che l'esperienza cruciale del futuro tossicomane si gioca negli anni della sua infanzia, trasformandosi poi in danno finito e stabile della sua personalità, non è per niente facile capire il cam­biamento improvviso e apparentemente "miracoloso" cui molti tos­sicomani vanno incontro quando si avvicinano al lavoro di una Comunità (Cancrini,1982,43-45).

 

Bergeret afferma invece che non esiste una struttura psichica stabile e profonda specifica dei comportamenti di dipendenza, che possono essere originati da qualsiasi struttura mentale. Inoltre, i comportamenti di dipendenza non modificano la struttura psichica profonda dell'individuo, ma si limitano a modificare in modo più o meno notevole il modo di funzionamento  secondario della struttura profonda (Bergeret,1983b,22). "Le personalità tossicomaniche non costituirebbero dunque un mondo particolare. Se è vero che si riscontrano nella maggior parte dei tossicomani dei tratti comuni facilmente evidenziabili, questi stessi tratti di carattere e di comportamento non rispondono in realtà che ad una esagerazione dei tratti di carattere o di comportamento esistenti allo stato latente (o poco accentuati) nella maggior parte dei nostri contemporanei" (Bergeret,1983a,85).

 

Secondo questo autore, la "categoria di gran lunga più importante di tossicomani" è costituita dai tossicomani ad organizzazione depressiva (op.cit.,35). Si tratta "di soggetti innanzitutto molto immaturi e nei quali la crisi dell'adolescenza non ha avuto la possibilità di essere completamente superata" (ibidem). I tossicomani incontrano gravi difficoltà identificatorie, dovute alla difficoltà sperimentate nelle precedenti relazioni con la famiglia. "È difficile per tali bambini paragonarsi agli adulti, vivere una reale situazione edipica triangolare e strutturante. Riesce loro impossibile vivere delle relazioni d'amore ed anche di rivalità. Il tossicomane comincia molto presto ad accontentarsi dell'imitazione, come un ripiego in presenza di carenze identificatorie; il soggetto dipendente è facile preda delle suggestioni, delle influenze, dei conformismi più sottili, anche se, per difendersi, proclama un anti-conformismo provocatorio e puramente formale" (op.cit.,44).

 

E.Riva affronta la tematica del prolungamento della fase gio­vanile, sottolineandone alcune implicazioni psicologiche. L'ado­lescenza, come la nascita per il neonato, costituisce un'e­sperienza di separazione, e come tale è attraversata da rischi di morte. La famiglia, come il grembo materno, è un contenitore nel quale l'adolescente vorrebbe poter rimanere per ottenere protezione, ma dal quale finisce per sentirsi costretto e impri­gionato (Riva,1990,127). La tossicodipendenza giovanile rappresenta una sorta di iniziazione negativa, che celebra l'abbandono della condizione precedente senza, tuttavia, aprire le porte a nuovi progetti di identità: "In questa prospettiva il consumo di droghe assume il carattere di soluzione magica ma illusoria che consente all'adolescente di posticipare indefinitamente la nascita sociale; attraverso l'illusione di autoriempimento fornita dall'eroina vengono infatti saturati bisogni e vuoti primari e ripristinata in modo onnipotente la condizione simbiotico-fusionale" (op.cit.,128).

 

L'analisi della cultura affettiva della famiglia evidenzia la difficoltà ad agevolare il distacco del figlio e la tendenza a fornire un modello pedagogico inflazionato da valori materno-fusionali e carente di valori paterno-emancipativi: "...l'assenza di valori paterni che ingiungano la separazione condanna la coppia madre-figlio ad un eterno legame di dipendenza di cui la tossicomania rappresenta un'ipotesi di risoluzione illusoria e disperata..." (op.cit.,143). Dal momento che la fase adolescenziale tende ad allungarsi, anche al fine di riuscire a fornire ai giovani la molteplicità di competenze richieste dalla complessità dell'attuale società, vi è il rischio che il processo adolescenziale tenda a croni­cizzarsi, e che da crisi transitoria tenda a trasformarsi in struttura psichica stabile inducendo nei giovani la tendenza ad evitare il carattere definitivo delle scelte, lasciando aperti tutti i problemi e tutte le soluzioni (op.cit., 145).

 

Il legame del tossicodipendente con la famiglia di origine è spesso di tipo "invischiante" (Cancrini,1973,46-61). È stato sostenuto, da parte di alcuni esponenti della scuola di Palo Alto, che la tossicodipendenza insorge (al pari di molti altri disturbi del comportamento) al momento di lasciare la famiglia (Haley, 1980,39-43). Sono stati utilizzati alcuni dati statistici rilevati da Stanton e Todd, secondo cui i contatti che un cam­pione di tossicodipendenti dell'età media di 28 anni hanno con i propri genitori è di gran lunga superiore a quelli che hanno giovani non tossicodipendenti della stessa età (op.cit., 227). Il comportamento tossicodipendente sarebbe un comportamento adat­tivo, praticato allo scopo di stabilizzare la famiglia che potrebbe essere entrata in crisi nel momento in cui il figlio avrebbe dovuto inserirsi nella vita adulta a titolo definitivo. La tossicodipendenza rende il giovane un "fallito di profes­sione": il suo fallimento evidenzia, anche agli occhi dei genito­ri, il fatto di non aver raggiunto un'autonomia personale.

 

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