Consulenza filosofica per problemi di coppia
Un caso di esempio: Annalisa era in fase di separazione e si sentiva tradita e disperata perché il marito voleva andare a vivere con un'altra donna. Il tradimento, la gelosia, il paragone e l'invidia
Come affrontare una separazione?
Penso che si riesca a spiegare molto meglio che cosa è una Consulenza Filosofica a un pubblico di non esperti portando degli esempi concreti. Annalisa mi telefona “completamente disperata”: sta per separarsi e si sente del tutto a pezzi. Mi sembra talmente sconvolta che le chiedo perché vuole rivolgersi proprio a un Consulente filosofico e non per esempio a uno psicologo e lei mi risponde molto seccata: “Io non sono una malata! e non voglio essere trattata da paziente. Separarsi ormai capita a tutti e io ne voglio discutere con qualcuno da pari a pari”.
La vicenda
Fissiamo un primo incontro e la storia che mi racconta è questa: il suo matrimonio non andava bene già da molti anni e si sopportavano a malapena. Lei aveva già avuto parecchie relazioni extra-coniugali per sopperire alla mancanza di passione e di comunicazione del suo matrimonio e le aveva sempre tenute nascoste al coniuge, al momento aveva una relazione sessualmente gratificante che durava da parecchio, ma che non aveva grandi prospettive di futuro. Recentemente però il marito le aveva comunicato di aver avuto anche lui delle sporadiche relazioni extra coniugali, ma adesso aveva trovato una compagna che gli andava bene e voleva la separazione per andarci a vivere insieme.
Le reazioni
Alla notizia Annalisa si era infuriata fuori controllo: i vicini avevano persino chiamato il 113 spaventati dalle sue urla e dalle sue minacce. Durante le liti furibonde Annalisa non aveva mai detto al marito dei propri tradimenti. Poi aveva cominciato a disperarsi e ultimamente non faceva che piangere e parlare di “orridi tradimenti” e di “infami silenzi”, di “rottura del patto di fedeltà matrimoniale” e così via.
Il senso degli aggettivi
Mi incuriosisce che Annalisa definisca i suoi “tradimenti” e i suoi “silenzi” come “normali”, mentre quelli del marito sono “orridi tradimenti” e “infami silenzi”… Infatti comincio con il chiederle il senso di questo uso difforme degli aggettivi per qualificare gli stessi atti da parte sua o del marito. Lei all’inizio rimane molto confusa perché le sembra del tutto ‘ovvio’ che quel che ha fatto lei è normale mentre quel che sta facendo il marito è mostruoso, ma nella riflessione successiva emerge che tutta la differenza sta nel fatto che lui adesso la vuole lasciare.
Il cambiamento di priorità dei valori
Chiedo ad Annalisa su quali valori si era sposata, che senso aveva dato “allora” al matrimonio o alla fedeltà, e se i suoi valori erano cambiati nel corso del tempo. E mi dice che si era sposata piena di speranze, dando una grande importanza all’amore, alla fedeltà e alla profondità della relazione. Ma poi con l’andar degli anni il rapporto era appassito e si era svuotato di tutto, era diventato solo una routine di convivenza. La scelta che aveva fatto a quel punto, in maniera non del tutto consapevole, era stata di privilegiare la ‘continuità formale del matrimonio’ e di cercare altrove la soddisfazione sessuale e l’intimità emotiva. Ma adesso il marito non stava rispettando questa scala di valori con la sua decisione di separarsi: era questa la differenza tra loro e “l’orrido tradimento”! Le faccio notare che la ‘vecchia’ scala di valori era stata esplicitamente dichiarata e condivisa quanto meno al tempo del matrimonio, mentre quella ’nuova’ era solo sua e non era stata decisa consensualmente. O avevano forse concordato insieme: “Va beh, tiriamo pure avanti così sopportandoci a malapena e facciamoci entrambi degli amanti, purché che non ci separiamo?”
L’illusione di aver il rapporto sotto controllo
Ma Annalisa non aveva mai pensato che suo marito potesse farsi delle amanti (lo riteneva un tipo troppo timido e riservato per simili slanci) e non avrebbe neanche accettato che la sua nuova scala di valori diventasse reciproca. Aveva sempre ritenuto di avere il controllo del rapporto e di poter fare quel che le sembrava più opportuno, mentre suo marito avrebbe continuato nel matrimonio perché era un grande abitudinario, oltretutto dato che gli organizzava la gestione pratica del quotidiano pensava che non avrebbe mai potuto far senza di lei e questo le dava sicurezza, per insoddisfacente che fosse la relazione. Evidentemente Annalisa aveva fatto parecchie “supposizioni” errate, che ora si stavano rivelando tali. Abbiamo quindi cercato di chiarire meglio come elaborasse le proprie supposizioni e le conseguenti aspettative: quale differenza c’è tra credere-valutare-ritenere-immaginarsi-essere convinti? E cosa pensare quando la realtà differisce proprio dalle previsioni?
Gli elementi per una decisione
A questo punto ci siamo trovati a discutere di su quali basi Annalisa prendeva le sue decisioni, anche riferendoci alla situazione attuale. Le ho ho domandato quali possibilità vedeva nella relazione con il marito, se pensava che il loro matrimonio potesse continuare o no, e in caso quali soddisfazioni si aspettava che le potesse dare. Mi dice che in quella relazione ormai non c’era più niente da salvare: la comunicazione affettiva si era già interrotta da anni, la sessualità dimenticata e anche prima degli ultimi sviluppi vivevano in un uno stato di insofferenza reciproca. Chiedo allora dove stava il problema a separarsi? Su questa domanda si è scatenata una valanga di reazioni emotive legate a: “Perché lui ha un’altra!”.
Identità e paragone con "l'altra"
Approfondendo questo discorso diventa più chiaro che la disperazione di Annalisa era soprattutto collegata al fatto che si sentiva “una perdente perché lui la lasciava per un’altra”. Quel che era in gioco era la sua valutazione di se stessa. Proprio Annalisa che si era sempre sentita forte e indipendente, sicura di sé e ‘la più forte’ nella relazione, adesso si sentiva uno straccio buttato via. Quindi abbiamo discusso degli elementi su cui basava la propria autostima e la valutazione di sé. E di quelli in base a cui la cambiava. Il tema “dell’altra” e “della preferita” svolgeva il ruolo fondamentale perché, indipendentemente da chi fosse quella donna che neppure conosceva, Annalisa ‘supponeva’ che il fatto che venisse preferita indicasse automaticamente che era ‘migliore di lei’ in senso assoluto e generalizzato. E anche il tema della “competizione” era importante nel definirsi una perdente, senza però chiarirsi perdente a quale gioco? Quale è l’obbiettivo? Chi si diverte a partecipare?
L’invidia e le previsioni sul proprio futuro
Un altro elemento che scatenava la disperazione di Annalisa era che: “adesso lui si potrà rifare una vita felice e beato mentre io rimarrò sola come un cane”. Nei colloqui successivi si chiarisce meglio che il sentimento che scatenava tanta pena era l’invidia e non la gelosia: se Annalisa si fosse trovata nelle stesse condizioni del marito, con un partner interessante e disponibile, non ci avrebbe pensato due volte a separarsi di corsa. Ma il suo amante invece era sposato e per nulla intenzionato a lasciar la famiglia, oltre tutto come compagno non lo avrebbe neanche voluto perché era un irresponsabile totale. Emerge però che la scelta degli amanti di Annalisa era stata parecchio influenzata dalle sue scelte precedenti: intenzionata come era a rimanere sposata, li aveva sempre scelti come surrogati e ‘integrazioni temporanee’ e non come possibili alternative. Dato che Annalisa era una donna ancora giovane e piacente non si vedeva perché avrebbe dovuto rimanere sola come un cane o su che cosa basava tali previsioni.
Lo scambio reciproco nel rapporto
A questo punto Annalisa cominciava a considerare la separazione non più come un dramma devastante ma come una decisione che aveva un senso, considerato lo stato in cui si era ridotto il rapporto coniugale e la totale mancanza di interesse di entrambi a recuperarlo. Rimanevano però dei timori sulle proprie possibilità di avere relazioni future soddisfacenti e una certa amarezza generalizzata verso gli uomini. Abbiamo discusso di questi temi e della sua visione dei rapporti a due. Uno dei problemi della relazione con il marito era stato che nel tempo si era creata una situazione di tacito disprezzo da parte sua e di presa incarico di tutta la gestione materiale del rapporto: in poche parole lo considerava e lo trattava come un imbecille. Ma allora perché rimanerci insieme? Il tema centrale di cui abbiamo parlato è stato quello della ‘reciprocità’ e dello scambio alla pari nelle relazioni di coppia: è possibile? Che cosa lo favorisce o che cosa lo impedisce? Su cosa si basa la fiducia? Su cosa vengono fondate le aspettative? E se erano poco realistiche quali alternative ci sono in caso di delusione?
L’effetto di una consulenza filosofica
La Consulenza Filosofica non si propone di ‘risolvere i problemi’ e meno ancora di ‘far terapia’. Ma l’effetto di una revisione critica della propria visione del mondo e di una analisi spassionata della propria situazione attuale e delle possibilità, ha ovviamente degli effetti chiarificatori che facilitano la definizione delle proprie priorità, il prendere decisioni, aggiustare la rotta, liberarsi di preconcetti limitanti e considerare le alternative. Oltretutto ‘mette in moto un processo’ di riflessione che poi continua da sé e che è forse il bene più duraturo. In questo caso il tipo di problematica si sarebbe prestato benissimo anche a un intervento psicologico: è stata la cliente a scegliere quale via voleva percorrere. E in generale io non penso che la scelta della Consulenza Filosofica riguardi il tipo di problema (a parte il caso di un evidente disturbo psichico che impedisca la riflessione) ma piuttosto il tipo di approccio con cui si preferisce affrontarlo. Per riassumere ‘che cosa’ è avvenuto in questa Consulenza Filosofica direi che i colloqui sono consistiti in una analisi critica dei preconcetti e dei presupposti che rendevano quella separazione così drammatica e in una elaborazione di nuovi progetti di vita più soddisfacenti.