Colloquio motivazionale: il robot è più comprensivo?

Settembre, tempo di buoni propositi... Cosa aspettate allora ad iscrivervi in palestra? Per coloro che necessitano di un buon coach motivatore, c'è sempre il robot che, a quanto pare, potrebbe motivarvi meglio di un essere umano in carne e ossa!

Colloquio motivazionale: il robot è più comprensivo?

Se volete motivarvi all’attività sportiva l’ “atteggiamento non giudicante” di un piccolo amico elettronico con le sue risposte precise e pacate potrebbero aiutarvi a ridefinire i vostri obiettivi. Certo, a discapito di una certa dose di empatia nell’interazione… “dettaglio” non più così di moda a quanto pare…

Lo studio scientifico esiste ed è stato condotto da un gruppo di ricercatori del Regno Unito e giunge a conclusioni non da poco: il colloquio motivazionale con un robot umanoide potrebbe risultare più efficace di quanto non ci aspetteremmo!

 

Uno studio col robot-counselor

Per lo studio in questione sono stati reclutanti 20 partecipanti di età compresa fra i 18 e i 61 anni (17 donne e 3 uomini) fra coloro che avevano risposto a un annuncio per la ricerca di volontari per aumentare la motivazione all’attività sportiva.

La prima fase prevedeva che ogni partecipante interagisse con il robot umanoide in una sessione motivazionale, la seconda – programmata a distanza di una settimana – prevedeva un questionario a domande aperte in cui si chiedeva ad ognuno di valutare la sessione precedente.

Il “robot-counselor” è stato opportunamente programmato per porre ai volontari domande “ad hoc” in merito al cambiamento dello stile di vita e alla motivazione all’attività fisica e per simulare un’interazione partecipe: i suoi occhi infatti erano progettati per cambiare colore mentre la persona stava parlando, simulando un ascolto attento e interessato...

 

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I vantaggi di un colloquio motivazionale col robot

Secondo quanto affermato dagli autori, i risultati dello studio sono stati incoraggianti riguardo ai possibili vantaggi di un’interazione consulenziale uomo-robot.

I volontari che hanno partecipato allo studio, infatti, nonostante abbiano lamentato l’impersonalità e la mancanza di empatia nell’interazione col robot, hanno anche sperimentato di sentirsi ascoltati senza interruzioni e senza venir giudicati (e come potrebbero?) e avere occasione di verbalizzare ad alta voce i propri pensieri per focalizzare meglio i propri obiettivi.

Certo, sottolineano gli autori, lo studio è ancora ad una fase esplorativa: manca infatti un gruppo di controllo (volontari che in parallelo interagiscano con un counselor umano), non c’è un congruo bilanciamento fra i due sessi (la maggior parte erano donne) e non c’è una valutazione a lungo termine dell’impatto che le “sedute” di consulenza robotica avrebbero sull’effettiva pratica sportiva dei loro “clienti”.

Tutto ancora da approfondire insomma, eppure non si esita a mostrare un neanche tanto velato ottimismo…

 

I robot sono più umani degli umani?

Non ce ne vogliano i robot, in molti ambiti della nostra vita sono ormai importantissimi, si pensi ad esempio alla Robotic Assisted Surgery per la chirurgia mini-invasiva o ai robot inviati sulla luna o anche più lontano che sono parte insostituibile degli studi spaziali.

La questione è un po’ più complessa però quando si cerca di impegnare questi sofisticatissimi computer in interazioni umane. Non stupisce che alcuni dei volontari dello studio citato abbiano trovato l’interazione col robot persino più gradevole di quella con un essere umano, che questo sia “merito” dell’umanoide però viene qualche dubbio…

È certo invece che noi esseri umani non-robotici siamo portati ad antropomorfizzare facilmente un animale o un oggetto proiettando su di esso caratteristiche umane e tendendo di conseguenza a trattarlo come se effettivamente potesse avere pensieri, sensazioni e sentimenti analoghi ai nostri.

È un po’ il meccanismo opposto a quello dell’oggettivazione mediate la quale disconosciamo qualità umane ad altri esseri umani finendo per considerarli alla stregua di oggetti da manipolare per i nostri scopi (dai genocidi di massa alle comuni pubblicità televisive troviamo questo meccanismo all’opera fin troppo spesso).

Ecco, nell’antropomorfizzare un oggetto o un animale facciamo l’esatto contrario. Pensate a quando attribuite sentimenti di colpa o vergogna al vostro cane mentre lo sgridate per aver commesso una marachella: colpa e vergogna sono emozioni secondarie, fondate sull’autocoscienza e dunque esclusivamente “umane”, il nostro cane può aver tutt’al più paura della vostra ritorsione!

Ma anche gli oggetti possono diventare i nostri migliori amici, specie quando non abbiamo alternative: nel bellissimo film con Tom Hanks “Cast Away”, un pallone da beach volley diventa “Wilson” il migliore amico di Chuck rimasto confinato in un’isola deserta tanto che il protagonista ne piangerà amaramente la scomparsa quando verrà portato via dalle onde del mare.

 

Parlare con un professionista o con un amico: le differenze

Dunque, il fatto che un robot possa sembrarci “come” o “meglio” di un essere umano non implica che abbia necessariamente qualità di questo tipo, ma che noi gliele stiamo attribuendo (e se può funzionare un pallone da volley figuriamoci un umanoide appositamente progettato!).

Il fatto poi che i volontari trovassero vantaggioso essere ascoltati senza venire interrotti e non essere giudicati dal proprio “interlocutore” non è (fortunatamente) prerogativa esclusiva dei robot: l’ascolto professionale prestato da uno psicologo (il counselor nei paesi anglofoni è una figura affine, ben diversa da quella esistente in Italia) consiste per definizione proprio in queste caratteristiche.

È, se volete, il primo elemento che differenzia un colloquio di consulenza psicologica (motivazionale o di altro tipo) dalla conversazione con un amico.

Lo psicologo, a differenza dell’amico, non chiede al cliente di reciprocare l’ascolto prestato, non interviene raccontando la propria esperienza, non formula giudizi di sorta e generalmente non dà consigli, ma aiuta la persona a trovare le proprie risposte, compresa la focalizzazione sugli obiettivi di cui parlavano gli Autori dello studio.

 

Il processo di cambiamento e la motivazione

Un’ultima notazione tutt’altro che marginale: fosse anche che il robot si riveli un mezzo curiosamente efficace per sollecitare la motivazione a intraprendere un cambiamento (l’attività sportiva in tal caso), perdurare in tale attività è tutt’altro paio di maniche…

Sì perché gli esseri umani, a differenza dei robot, non funzionano secondo una modalità “on/off”: qualunque cambiamento (di comportamento, di stile di vita, di personalità) viene perseguito secondo un processo non scontato e non lineare dove contano sia la motivazione iniziale, sia la sensazione di controllo e autoefficacia nel poter mantenere i risultati a lungo termine.

Il cambiamento avviene per stadi, prosegue per prove ed errori e non sempre viene mantenuto nel tempo:  l’entusiasmo iniziale da solo non basta.

 

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Foto: Kittipong Jirasukhanont / 123rf.com