Riuscire a dimostrare la propria professionalità
Dimostrare la propria professionalità è questione di metodo, ma anche no: a volte la si avvalora proprio quando si smette di preoccuparsi di doverla dimostrare. Vediamo perché.
Credit foto
©fizkes / 123rf.com
Saper essere professionali sul lavoro e riuscire a infondere negli altri fiducia nelle proprie competenze è una questione sempre aperta per aziende e singoli professionisti che devono promuoversi e procacciarsi clienti. Lo è ancor di più per coloro che sono agli inizi del proprio percorso professionale e che, consapevoli della propria giovane esperienza, possono preoccuparsi molto di accreditarsi agli occhi degli altri. Vediamo rischi e vantaggi del voler dimostrare la propria professionalità.
Lavorare sul personal branding
A nessun imprenditore o libero professionista basta mettere una targa fuori dalla porta per ricevere clienti e offerte di lavoro. Il fatto che ognuno nella propria realtà professionale – almeno chi lavora in forme autonome – debba imparare a promuoversi, a costruirsi una rete e a ritagliarsi nicchie di mercato è più che acclarato.
Per questo ad esempio in molti settori risulta cruciale quello che viene definito come personal branding: sapersi raccontare agli altri per poter veicolare l’unicità/originalità della propria competenza professionale e intercettare così una domanda o bisogno di un target di utenza.
Si tratta di una competenza tutt’altro che scontata, ben diversa dall’inviare decine di curricola (magari con lettere di presentazione standardizzate) alle aziende più diverse o referenziarsi con i propri titoli di studio per fare buona impressione. Potranno sembrare errori banali, ma tutti all’inizio della vita lavorativa rischiano di commetterli perché costruire una narrazione strategica su sé stessi richiede allenamento, consapevolezza e sufficiente sicurezza in sé stessi da poter rinunciare al bisogno di dimostrare la propria professionalità.
Professionalità lavorativa e storytelling
L’affermazione del paragrafo precedente potrà sembrare paradossale ma non lo è. Pensiamoci un momento: solitamente quando ci troviamo a consultare un professionista (perché potremmo voler diventare suoi clienti o perché vorremmo instaurare una partnership con lui) non ci interroghiamo su dove ha studiato, quale voto avrà preso alla laurea o quali master abbia frequentato.
Più spesso diamo per scontato che essendo un professionista sappia fare il suo lavoro. Più che le informazioni che potremmo desumere dal suo curriculum, ci sono altri elementi della professionalità di quella persona che notiamo: il modo di porsi, di parlare di sé e di quello che fa (e a volte anche degli altri professionisti), qualcosa che magari ha scritto o chi ci ha parlato di lui o lei.
Questi e altri elementi ci danno l’idea di quanto quella persona ci rimarrà “top of mind”, nella mente come professionista esperto o competente in un certo ambito. Anche qui potrà sembrare un’osservazione banale, ma la disattendiamo facilmente quando a raccontarci agli altri siamo noi stessi, specie quando si è agli inizi della propria carriera. Ma neanche i professionisti più “attempati” ne sono immuni.
È piuttosto imbarazzante ma accade di frequente che anche persone più che navigate si ritrovino a presentarsi o ad approfondire la conoscenza di altri (colleghi e non) non resistendo alla tentazione di “far vedere i gradi”, illustrando il proprio percorso formativo o lavorativo o precisando, ad una richiesta magari di sincero interesse o curiosità su un ambito del loro lavoro, di essere specialisti, docenti o altro in quel settore. Perché questo accade? Se per i giovani può essere comprensibile non avere ancora sufficiente consapevolezza delle proprie capacità (un sano lavoro di storytelling su sé stessi offre sempre molte positive sorprese), lo stesso fenomeno sembra incomprensibile fra persone professionalmente più anziane.
La tentazione di presentarsi sintetizzando il proprio cv
Lo strano fenomeno di cui sopra è a onor del vero forse più comune in quelle situazioni dove più è accentuata la percezione di differenza, piuttosto che di somiglianza, fra le persone che stanno interagendo fra loro. Almeno due sono gli esempi che possono essere fatti al riguardo.
Può trattarsi di situazioni dove si trovano a dover lavorare o semplicemente confrontarsi due o più persone appartenenti a professionalità diverse. A volte tradurre il linguaggio e i presupposti del proprio operato professionale ad altri non è semplice, specie a chi non è abituato a lavorare in équipe o non ha maturato le competenze per farlo. È facile allora che, anche senza volerlo, si finisca per buttare là una precisazione su un titolo accademico ricevuto per rendere ragione del proprio agire professionale invece che spiegarlo e renderlo comprensibile a un altro professionista che parla una lingua “diversa” dalla propria.
Ci possono essere, e qui veniamo al secondo esempio, anche contesti dove questo curioso fenomeno accade fra persone della stessa professione che sono però connotate da altre differenze, come ad esempio i contesti lavorativi: chi nel pubblico e chi nel privato, chi come dipendente e chi come libero professionista (si pensi ad avvocati, architetti, medici ecc.). Curiosamente anche questo elemento può creare una certa “tensione” in alcune circostanze tale da indurre curiosamente persone anche più che esperte a presentarsi o raccontarsi ai colleghi come se si stesse facendo una sintesi del proprio curriculum vitae.
La cosa ancor più bizzarra, per quanto più che comprensibile, è che anche chi fra i presenti non abbraccia tale modalità, non ha alternative che adeguarsi, almeno in parte.
Comportamento professionale senza curriculum
Ci sono certamente situazioni in cui è richiesto mettere nero su bianco (il famoso curriculum appunto), documentare e argomentare i propri percorsi formativi e professionali. Sono i contesti in cui si partecipa esplicitamente a una selezione: colloqui di lavoro, concorsi pubblici, bandi di vario genere. In queste circostanze è chiaro che diventa indispensabile saper redigere un buon curriculum, saperlo accompagnare da una lettera di presentazione, da referenze o altre documentazioni se richieste.
Ma in tutte le altre circostanze è bene avere in mente che se si ha la necessità di specificare le proprie qualifiche accademiche o altro là dove ciò non richiesto (o non emerge spontaneamente dalle circostanze), probabilmente questo può riguardare una propria momentanea insicurezza (dovuta magari alla situazione non certo ad una scarsa sicurezza professionale).
Quando ci si sente sicuri della propria professionalità non si sente il bisogno di doverla dimostrare; sarà il proprio atteggiamento, il modo di porsi e di raccontarsi a veicolare chi siamo senza bisogno di artefatte precisazioni.