Il dilemma dell’onnivoro: fattori sociali, emotivi e culturali del gusto
Le determinanti antropologiche, sociali e culturali del gusto e delle nostre scelte alimentari vanno a costituire quella cornice all’interno della quale si dipana l’eterno dilemma dell’onnivoro dell’uomo di ieri e di oggi. In fatto di cibo siamo sempre e comunque costretti a operare delle scelte, facendo assumere a quello che mangiamo e a come lo mangiamo un’innumerevole mole di significati determinata anzitutto dalla cultura a cui apparteniamo.
Il dilemma dell’onnivoro è un concetto introdotto negli scritti di Rousseau e Brillat-Savarin, ma sistematizzato dallo psicologo Paul Rozin (The selection of foods by rats, humans and other animals, Advances in the Study of Behavior, 6, 21-76, 1976): gli animali dall’alimentazione specializzata, come gli erbivori, non impiegano nessun pensiero o emozione per decidere cosa mangiare e il loro il comportamento alimentare è determinato dal semplice istinto. Gli onnivori come l’uomo invece, benché in condizioni di necessità possano adattarsi a mangiare qualunque cosa, ordinariamente devono operare una scelta, selezionando cosa mangiare fra tutta un’ampia gamma di elementi potenzialmente commestibili sia noti e familiari che nuovi e potenzialmente rischiosi...
Gustiamo veramente ciò che mangiamo?
Siamo onnivori, ma culturalmente determinati…
In questa tensione dinamica fra ostinazione e curiosità (Pani R. e Sagliaschi S., Psicologia del gusto e delle preferenze alimentari. Rigida ostinazione o possibile apertura al nuovo?, Torino, Utet, 2010) si giocano le molteplici valenze psicologiche, sociali, simboliche e affettive che il cibo assume per la specie umana che per definizione deve, di fronte ad esso, operare una scelta e una trasformazione. E’ per questo che le nostre scelte alimentari si basano soprattutto sulla cultura e sulla tradizione a cui apparteniamo che è depositaria delle esperienze di innumerevoli “assaggiatori” che ci hanno preceduti. In tal modo, stabilendo regole, tabù e rituali di un’alimentazione “corretta”, la cultura ci consente di non dover affrontare ogni volta il dilemma dell’onnivoro… (La dimensione culturale del cibo, Barilla Center for Food & Nutrition). Per l’onnivoro essere umano quindi, un alimento non deve essere solo “buono da mangiare”, ma anche “buono da pensare” (Lévi-Strauss 1962)
Cucina e cucine
Cucinare significa simbolicamente sottomettere la natura (gli ingredienti grezzi) e trasformarla in cultura (il piatto finito). Si tratta di un processo trasformativo, come sostiene il sociologo Claude Fischler, in cui viene esorcizzata la potenziale pericolosità di un cibo “estraneo” attraverso i miti e riti che ne contraddistinguono la preparazione (Fischler, C., L' onnivoro. Il piacere di mangiare nella storia e nella scienza, Mondadori, 1992). In tal senso la cottura va a stabilire cosa è cibo e come questo debba essere preparato e consumato definendo l’identità culturale delle varie società umane.
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I dilemmi della globalizzazione
Nel corso degli ultimi decenni la distinzione tra i modi di cucinare e le preferenze alimentari è diventata sempre più confusa; la “Mcdonaldizzazione” delle abitudini alimentari (Rappoport, 2003) a livello mondiale ha reso disponbili gli stessi prodotti alimentari per tutti, così come la globalizzazione ha accelerato la diffusione in Occidente di cucine provenienti da tutto il mondo.
Secondo gli antropologi e i sociologi, in Italia attualmente vi sarebbero almeno quattro principali tipologie di preferenze alimentari, variamente intrecciate o in contrapposizione tra loro (Guidoni A. e M. Menicocci, Il cibo come linguaggio e cultura, 2009):
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tipologia della “genuinità”, a cui aderiscono i difensori dei prodotti regionali e delle pietanze tradizionali;
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tipologia biologica, a cui appartengono i sostenitori del macrobiotico, biologico e dell’agricoltura biodinamica, oppositori della meccanizzazione industriale;
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tipologia ”etnica”, che sottoscrivono gli amanti delle cucine provenienti da tutto il mondo (cinesi, indiane, pakistane etc.) che in occidente subiscono opportune riappropriazioni e riadattamenti;
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Tipologia “fast food”.
Il “moderno” dilemma dell’onnivoro
La più naturale delle attività umane, nutrirsi e scegliere cosa mangiare, sta sempre più diventando un’impresa che necessita di aiuto da parte di nutrizionisti, scienziati dell’alimentazione, medici. Come scrive l'autore Michael Pollan: “quando è possibile mangiare quasi tutto ciò che la natura ha da offrire, decidere cosa è bene mangiare genera inevitabilmente una certa apprensione, soprattutto se certi cibi possono rivelarsi dannosi per la salute o addirittura letali” (Pollan, M., Il dilemma dell’onnivoro, Adelphi, 2008). E’ questa la faccia moderna del dilemma dell’onnivoro. Se l’essere onnivori fa riferimento ad una condizione naturale dell’uomo, oggi paradossalmente è il prevalere di condizioni di innaturalità nell’offerta alimentare a generare incertezza su gusto e abitudini alimentari.
A fronte di ridondanti e contraddittorie fonti di offerta e di informazione, l’uomo moderno non è in grado di avere garanzie sui complessi processi industriali, la composizione del cibo, le conseguenze per la salute di ciò che ingerisce (su cui ci sono ideologie discordanti a seconda delle “mode” del momento).
In questo modo, la possibilità di scelta che il dilemma dell’onnivoro consente può diventare spunto di preoccupazione, ansia e incertezze a meno di non introdurre un pizzico di creatività e curiosità...
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