Lotta contro l'Aids: come affrontare la malattia
L’HIV e l’AIDS sono stati gli spauracchi degli anni 90 e 80, oggi se ne parla molto meno, ma questo significa che il percorso di chi ne è colpito è più semplice?
Il 1 Dicembre è la Giornata Mondiale della lotta contro l’AIDS.
Quanta strada è stata percorsa dagli anni 80 e 90, ma quanto sono cambiate le cose oggi? Si muore di meno, ma anche l’informazione e l’attenzione al fenomeno è andata diminuendo.
Parlando meno delle morti dovute al retrovirus, si ha meno paura e le persone si controllano con minor frequenza.
Oggi ricordiamoci che l’AIDS resta una patologia mortale e che affrontarla non è affatto semplice.
Le fasi di reazione alla scoperta della patologia
Nonostante se ne parli molto e i passi da gigante fatti dalla medicina, l’AIDS fa ancora molta paura.
Sia in termini di disagio sociale, sia per quanto riguarda la gravità della patologia, venire a conoscenza di questa diagnosi è un evento particolarmente stressante, che va “digerito” nel tempo, attraverso una serie di passaggi che permettono di dare un nuovo “peso” e un nuovo “spessore” ai propri progetti e alla possibilità di realizzarli.
Secondo la psichiatra Kubler-Ross la consapevolezza del “malato” passa attraverso questi stadi:
- Shock e negazione: il paziente scopre la diagnosi ed è più o meno incapace di accettare la realtà e comincia la ricerca di altri pareri o di auto medicarsi,
- Rabbia: il soggetto è costretto ad accettare la realtà, ma l’impossibilità di modificare la propria situazione genera rabbia, frustrazione e una serie di lamentele,
- Patteggiamento: il paziente è costretto a cercare una mediazione con la propria situazione che comporta rivedere se stesso, i propri obiettivi e le reali prospettive.
Per coloro che vivono a fianco dell’HIV
Parlare di sostegno psicologico in caso di HIV non dovrebbe limitarsi solo all’accompagnamento del malato, ma includere anche coloro che vivono la patologia e i suoi effetti quotidianamente: parenti e partner.
Gli stadi precedentemente descritti possono essere vissuti anche da coloro che vivono con il malato, ma non sempre in sincronia e con in più la tacita richiesta di non lamentarsi visto che non sono loro cui è stato diagnosticato un male.
Il rischio maggiore è quello di frammentare le persone e le loro problematiche invece di prendersi carico in modo unitario delle difficoltà. Per questo, il malato e la sua famiglia possono trovare sul suo territorio una serie di servizi come consultori o CPS;
L’obiettivo della consulenza è proprio quello di far ritrovare coerenza, unità e senso delle propria esistenza affinché tutte le persone coinvolte dalla patologia affrontino con coscienza le nuove sfide mobilitando tutte le risorse a disposizione.
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