Se le imprese fossero orchestre
Guidare l'azienda di famiglia o una multinazionale può avere punti in comune con la direzione di un ensemble strumentale? Soprattutto nello stato di crisi causato dal protrarsi dell'emergenza Covid sulle attività economiche. Ne parliamo con Ambra Redaelli, imprenditrice e presidente della Fondazione Verdi.
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Artisti e impenditori hanno mostrato tutto il loro disappunto e la stanchezza derivata dalle preocupazioni che le nuove restrizioni contenute negli ultimi dpcm di ottobre e novembre hanno imposto a diversi settori economici del Paese.
Il mondo dello spettacolo, la proposta culturale e il lavoro nella sua conformazione della piccola e media impresa sono due pilastri dell'operosità nel nostro Paese Quali strategie per superare la crisi sono state attivate dall'uno e l'altro settore per non soltanto sopravvivere, ma anche mantenere fede alla missione che la proposta artistica e l'impresa sul territorio perseguono?
Ne abbiamo parlato con Ambra Redaelli, imprenditrice e membro attivo in Confcommercio e presidente della Fondazione LaVerdi, realtà milanese comprendente sei formazioni artistiche, sia orchestrali che corali, apprezzate in Italia e all’estero.
Quanto tempo dedica a ciascuna delle sue attività?
Sono due attività importantissime, per cui non riesco a fare una distinzione. Dipende molto dai giorni e dalle settimane. Di questi tempi, ovviamente anche dai decreti. Nel momento in cui mi avevano chiuso l'azienda per codice Atecu, ha avuto predominanza l'azienda. Da quando, con il nuovo d.c,p.m., hanno chiuso l'Auditorium Gustave Mahler, dovrò dedicarmi maggiormente alla Fondazione Verdi.
Con le videoconferenze, risparmio tempo soprattutto per i viaggi.
Innovazione in azienda e in musica, si può?
La visione e missione dell'azienda di famiglia, fondata da mio padre nel 1950, per me e i miei fratelli già dal 2000 è improntata sul binomio ambiente e innovazione perché abbiamo capito subito, prima di altri, che l'ambiente è una parte fondamentale da preservare e, quindi, abbiamo cercato di produrre nuovi prodotti di consumo e macchinari in ottica di economia circolare e che non avessero reflui da smaltire. Ci siamo molto impegnati anche sul fronte della depurazione.
Nella Fondazione l'innovazione si è portata attraverso azioni pratiche, ma anche scelte di valore: soprattutto in questo periodo, ho optato per la digitalizzazione dell'orchestra, introdotto il leggio elettronico, attivato opportunità di streaming attraverso una nuova impiantistica e abbiamo studiato soluzioni per permettere ai musicisti di lavorare in sicurezza in base alle disposizioni anti-Covid.
L'obiettivo assoluto è sempre quello di primo tra tutti fare buona musica, perché il pubblico possa goderne cercando di raggiungere le nuove generazioni coniugando progetti nuovi nell'ottica di spiegare la musica anche abbinandola ad altri ambiti, come la letteratura o – come stiamo facendo in questo periodo – la scienza. Fare dei paralleli con delle altre materie in una diffusione culturale che è il valore della musica elettronica.
La musica cosa dovrebbe offrire a chi la ascolta?
Emozioni. Il vero motivo per cui la gente scaricava musica anche in questi tempi tremendi o veniva a teatro con gli scioperi o con la pioggia per sentire una Terza di Mahler, o la Passione secondo Matteo: queste persone si sono mosse verso la proposta musicale per emozionarsi fino alla commozione.
Poi cultura, approfondimento, storia, ma sopra a tutto la musica sinfonica deve emozionare.
In quanto linguaggio universale, la musica parla a tutti allo stesso modo?
Certo, l'orchesta sinfonica Verdi parla un linguaggio universale, ma ognuno vive l'esperienza in modo diverso. Poi, com'è normale, ci sono brani che provocano apprezzamento più di altri, ma le emozioni che suscitano sono diverse da persona a persona.
Nonostante le restrizioni, continuate a offrire proposte per coinvolgere il pubblico
Noi non ci siamo fermati durante il lockdown, ma non potevamo neanche andare in teatro, cercando di fare una programmazione con anche delle scadenze settimanali. Ci siamo resi attivi sui social, ma senza suonare perché io non ho mai apprezzato quelle esibizioni musicali, che sono molto pittoresche, però la qualità del suono non è apprezzabile.
Abbiamo cercato di realizzare una programmazione editoriale, abbiamo cercato di mandare in streaming ciò che avevamo registrato. Abbiamo riaperto il primo di luglio e, pur essendoci poche persone, perché da 1253 posti ne potevamo riempire una media di 300, abbiamo fatto una buona musica, fino alla sera prima dell'uscita del dpcm del 24 ottobre.
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Perché è così importante non lasciare le persone senza proposte musicali di livello?
Possiamo parlare di alto livello, perché la musica sinfonica, se suonata male, o se non viene eseguita bene, non piace. Io faccio sempre l'esempio che tante canzoni pop al Festival di Sanremo, magari arrivano ultime, poi esce il disco e piacciono: sul palco l'autore può aver cantato cantato male, invece il disco è fatto bene. Se senti la Quinta di Beethoven, fatta male, non ti emoziona. Il pubblico distingue una musica fatta bene da una fatta male.
Quindi, la qualità deve essere elevata. Dall'altro lato, è importante continuare a fare una programmazione soprattutto in momenti così tremendi, proprio offrire strumenti per combattere la malattia e sentire un buon concerto fa bene all'anima e, quindi, alla salute.
Poter godere della bellezza di una sinfonia, di una pièce teatrale, di un quadro in un museo è un diritto. Toglierlo è impossibile, anche se è difficile lavorare in queste condizioni, ma poi la gioia del pubblico indica che quella era la cosa giusta da fare.
Avete progetti per coinvolgere il pubblico più giovane maggiormente restio all'ascolto della musica sinfonica?
È stato sorprendente notare che con il lockdown i giovani si sono avvicinati tantissimo a noi, perché probabilmente stando da soli, studiando, sono arrivati. Forse aiuta anche l'ora dello spettacolo perché, per esempio, la programmazione di un'ora non li spaventa.
Musica e scienza come nasce?
Per l'idea di avvicinare mondi diversi. Abbiamo parlato dei buchi neri e li abbiamo abbinati alla Quinta di Beethoven; le malattie della psiche le abbiamo abbinate alla musica di Schumann e con un'orchestra dal vivo.
L'orchestra è un microcosmo. In Prova d'orchestra di Federico Fellini è assimilato a una società anarchica che deve essere diretta per non collassare.
La mia orchestra non è un microcosmo, ma più una comunità ed oggi non è più così sindacalizzata la realtà nelle orchestre, o almeno non lo è nella mia.
Può fare impresa un'orchestra?
Può chi ne cura la gestione, non l'orchestra.