Emozioni primarie e secondarie: ci riconosciamo allo specchio?
Le emozioni non sono tutte uguali: quelle primarie, come la paura, le condividiamo anche con gli animali più semplici; quelle secondarie, come la vergogna, ci caratterizzano come esseri umani dotati di autocoscienza. Entriamo nel mondo delle emozioni primarie e secondarie
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A partire dai 2 anni si sviluppa nel bambino una prima forma di autocoscienza e di introspezione che lo pone in grado si percepirsi come possibile oggetto delle attenzioni e dell’osservazione altrui.
A livello comportamentale tale stadio è caratterizzato dalla capacità del bambino, ad esempio, di riconoscere la propria immagine allo specchio: il riconoscimento allo specchio rappresenta dunque uno stadio evolutivo cruciale tanto per gli autori di matrice psicoanalitica (Lacan, 1966, Scritti, Tr. It. Einaudi, Torino, 1974) quanto per quelli di stampo cognitivo (Lewis, Il sé a nudo: alle origini della vergogna, Giunti, 2001).
Quali sono le emozioni primarie e le emozioni secondarie
È proprio questo stadio che rappresenta lo spartiacque fra emozioni primarie e secondarie. Le prime, istintive, semplici e aspecifiche e caratteristiche dei mammiferi si distinguono in:
Le emozioni secondarie, invece, sono più complesse, specifiche degli esseri umani e dipendono dalla presenza di un certo grado di introspezione e di socializzazione in base a norme e attese comportamentali poiché coinvolgono il concetto di sé:
Differenze tra emozioni primarie e secondarie
Osservate un neonato di pochi mesi che per errore abbia messo in bocca una sostanza di un sapore sgradito: apparirà sul suo volto un’inconfondibile espressione di disgusto che potrete facilmente riconoscere e assimilare a quella prodotta istintivamente da adulti e bambini praticamente in ogni parte del mondo.
Pensate invece a un bambino di 2 o 3 anni che, scoprendo di essere osservato, arrossisce e corre a nascondersi: è la consapevolezza di essere oggetto dello sguardo altrui a generare un’emozione di vergogna e ad indurre questo bimbo a reagire in tal modo.
Molti criteri sono stati proposti dai vari Autori per distinguere emozioni primarie e secondarie, il più utile tuttavia sembra proprio questo:
- le emozioni primarie non necessitano di autoconsapevolezza;
- le emozioni secondarie, più complesse, dipendono da un certo grado di introspezione poiché implicano e coinvolgono il concetto che una persona ha di sé.
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La teoria evoluzionista delle emozioni
I primi studi sull’espressione emotiva e l’esistenza di emozioni primarie o di base risalgono a Charles Darwin e a Robert Plutchik. Al filone evoluzionista si deve il merito di aver sottolineato quanto le emozioni non siano da intendersi come scomode interferenze nel funzionamento mentale, bensì segnali con una funzione adattiva molto importante per la vita della persona.
In tal senso le emozioni primarie sarebbero quelle più rilevati per l’adattamento e i processi biologici e non dipenderebbero dall’introspezione; mentre tutte le altre, come nella tavolozza dei colori, deriverebbero da una mescolanza delle prime.
Gli studi transculturali di Paul Ekman avrebbero confermato la teoria evoluzionista sull’universalità delle emozioni primarie, come felicità, rabbia, paura, disgusto, tristezza, sorpresa o interesse, giacché le espressioni emotive ad esse associate a livello delle espressioni facciali risulterebbero universali e riconosciute in ogni cultura e parte del mondo pur con gradi di competenza differenti a seconda delle differenze culturali e individuali.
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Autocoscienza e emozioni secondarie
Gli studi più recenti sulle emozioni primarie e secondarie sono quelli portati avanti dallo psicologo cognitivo Michael Lewis. Egli sostiene l’importanza di distinguere, come sopra detto, tra
- emozioni primarie, come gioia, tristezza, paura, disgusto, interesse e rabbia
- emozioni secondarie, come ad esempio vergogna, invidia, colpa, orgoglio o rimpianto (e naturalmente molte altre).
Le emozioni secondarie sono più complesse poiché implicano un riferimento a sé stessi e quindi possono essere sperimentate solo se è presente un certo livello di introspezione o di autocoscienza: quella che inizia a svilupparsi quando, appunto, il bambino inizia a riconoscersi allo specchio, ad usare nel linguaggio pronomi personali o a partecipare a giochi di fantasia.
Un esempio è quello appunto della vergogna, una delle emozioni più ampiamente studiate da Lewis (Il sé a nudo: alle origini della vergogna, Giungi, 2001): per provare vergogna il bambino deve avere sufficiente consapevolezza di sé poiché è l’esposizione sociale e la percezione di essere oggetto dello sguardo e del giudizio altrui a far sentire il bambino in imbarazzo.
Da adulti, spiega Lewis, tendiamo spesso a confondere questi due elementi pensando erroneamente che quando ci sentiamo in imbarazzo questo sia indice dell’aver commesso un errore e che questo inciderà negativamente sul nostro valore come persone.
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Emozioni tipicamente “umane”
Secondo Lewis quindi lo sviluppo delle emozioni procede a partire da semplici disposizioni biologiche innate (le emozioni primarie) fino a coinvolgere l’idea e la consapevolezza che abbiamo di noi stessi (le emozioni secondarie).
Le emozioni primarie dunque sono reazioni che potremmo dire innate mediante le quali ci avviciniamo (felicità, rabbia, sorpresa, interesse) ad un oggetto o ci allontaniamo da esso (tristezza, paura o disgusto). Rappresentano una primissima forma di adattamento al contesto ambientale, che condividiamo anche con animali più semplici, compaiono molto precocemente e rappresentano il risultato della nostra storia evolutiva.
Le emozioni secondarie invece sono specifiche della specie umana, compaiono entro i 2 anni, quando il bambino ha sviluppato una sufficiente autoconsapevolezza di sé, un certo grado di socializzazione e ha interiorizzato un’idea di bene/male che regola gli standard e le aspettative sui propri comportamenti.
Sono emozioni che coinvolgono quindi l’idea che ognuno ha di sé e per questo hanno legami complessi con il funzionamento globale della personalità, le relazioni sociali, l’autostima e il senso di autoefficacia. In tal senso le emozioni secondarie possono essere definite come emozioni veramente “umane”.
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