L'iperattività negli adulti: cause e terapie
Iniziare molte cose simultaneamente senza portarne a termine nessuna, perdersi in più attività o pensieri contemporaneamente, aver necessità di muoversi di continuo.. l’iperattività negli adulti può essere un semplice tratto caratteriale o rivelare un disagio più pervasivo e profondo.
L’iperattività negli adulti quando e come può essere ritenuta indice di un disagio psicologico più profondo a cui dare ascolto?
I confini tra tratto caratteriale benigno e sintomo disfunzionale sono molto incerti e discussi già nei casi di iperattività dei bambini e continuano ad esserlo quando tali caratteristiche connotano il comportamento adulto.
Spesso tuttavia si tratta di caratteristiche che solo in apparenza si riducono al piano comportamentale, ma che esprimono un malessere psicologico più profondo.
L’iperattività negli adulti del terzo millennio
Potremmo dire che l’iperattività negli adulti assume caratteristiche e contorni alquanto controversi vista l’epoca storica e sociale in cui viviamo.
Da un lato, infatti, l’ambiente culturale, tecnologico e globalizzato attuale sembra incoraggiare l’iperattività, il multitasking, il saper fare e provvedere a più cose contemporaneamente.
Da questo punto di vista non viviamo certo nell’epoca dell’ozio o del dolce far niente: i modelli comportamentali di successo sono quelli che incarnano l’individuo ambizioso, efficiente, pluricompetente in ambiti sempre diversi e capace di essere al passo con continui mutamenti.
Se da un lato quindi l’avanzamento tecnologico e sociale ci ha dato molte più possibilità per scegliere chi essere e cosa fare della nostra vita; dall’altro sembra che siano parallelamente aumentate le richieste che il mondo esterno – con i suoi valori/dettami e influenze – fa alla persona. Una persona sempre più individualista, chiamata, appunto, ad esprimersi sul piano del “fare” – a cui l’iperattività ben si accorda – e poco avvezza a tollerare il piano dell’ “essere”, a contemplare la dimensione dell’attesa e del desiderio irrealizzato.
L’iperattività è, da questo punto di vista, un po’ figlia della nostra epoca, croce e delizia degli infiniti (forse solo apparenti) gradi di libertà che la globalizzazione del terzo millennio ci offre.
L’ADHD negli adulti
L’iperattività negli adulti è però anche considerata, dalle (anch’esse “globalizzate”) tassonomie psichiatriche attuali, un sintomo di un possibile disagio psicologico.
Si parla in tal senso più propriamente di sindrome da deficit di attenzione e iperattività negli adulti. Si tratta di una costellazione di caratteristiche comportamentali che possono essere soggettivamente descritte dalla persona e/o riferite da coloro che le sono a più stretto contatto che delineano un quadro per alcuni versi sovrapponibile e in continuità con quello dell’omonima sindrome infantile.
Adulti che appaiono, dunque, facilmente distraibili, incapaci di mantenere l’attenzione focalizzata per molto tempo, che sentono l’esigenza di muoversi in continuazione e che possono associare a questo condotte impulsive, difficoltà relazionali e di organizzazione e gestione del tempo e degli impegni.
Possono essere ritenute inaffidabili, spesso con la testa fra le nuvole, soventi intente a portare avanti più compiti contemporaneamente senza riuscire a concluderne nessuno poiché, non appena iniziano ad impegnarsi in qualcosa, vengono poco dopo distratti da altro. È come se non fossero in grado di darsi delle priorità, elaborare dei piani strategici di azione e decisione né di mantenere la concentrazione per un lungo periodo di tempo.
Un’iperattività che si esprime tanto col corpo quanto con la mente dunque e che spesso porta ad impegnarsi in lavori che si accordano con queste caratteristiche comportamentali.
Una sindrome in continuità con quella infantile
Per essere diagnosticata come disagio psicologico, l’iperattività negli adulti dev’essere una caratteristica comportamentale stabile, preceduta da problemi di ADHD nell’infanzia che non si sono risolti con il progredire dell’età, ma che hanno mantenuto alcune componenti fino all’età adulta andando a compromettere alcune aree significative – sociali o lavorative – del funzionamento della persona.
Dare un senso all’impossibilità di “stare”
Da più parti, come già avvenuto con l’ADHD nei bambini, si ravvisa la necessità di non fermarsi alla sola diagnosi di tipo medico-psichiatrico ma di inquadrare l’iperattività degli adulti in un più ampio contesto psicologico personale e sociale alla luce del quale tali caratteristiche comportamentali possono avere un senso.
È stato osservato, ad esempio, quanto un livello di iperattività compatibile con una diagnosi di ADHD nell’adulto esprima a livelli psicologici profondi l’incapacità, l’impossibilità a stare e a riconoscersi in qualcosa, in una qualche attività che rappresenti un polo di reale interesse e coinvolgimento per la persona.
L’iperattività disadattava e disfunzionale blocca e rende infruttuosa qualunque attività, porta ad intraprendere tutte e nessuna cosa contemporaneamente, impegnandosi in apparenza su molti fronti per rimanere, di fatto, alla superficie, ai margini di qualunque coinvolgimento e implicazione in alcun che.
L’iperattività esprimerebbe, da questo punto di vista, un problema solo in apparenza comportamentale, ma più propriamente esistenziale relativo alla difficoltà a riconoscere ed esprimere la propria identità e a fare delle scelte in cui ci si possa sentir rispecchiati, gratificati e riconosciuti. Non un problema solo del fare, dunque, ma dell’essere.
È in tal senso che si ravvisa – parallelamente a eventuali interventi farmacologici e riabilitativi spesso essenziali – l’utilità, in tali casi, di intraprendere un percorso psicoterapeutico.
Scopri di più sulla sindrome ADHD
Per approfondire:
> Disturbi dell'infanzia e dell'adolescenza