La sindrome del nido vuoto: dall’accudire al lasciar andare
Tristezza, vissuti di vuoto e abbandono, sentimenti depressivi: sono tutte possibili manifestazioni di quella che viene definita sindrome del nido vuoto, ovvero quello stato di afflizione e tristezza quasi luttuoso misto ad angoscia che può manifestarsi in molti genitori una volta che i figli, ormai pronti per “spiccare il volo”, se ne siano andati di casa. Sentimenti di tristezza e malinconia sono normali e connaturati all’ambivalenza degli affetti umani, altra cosa è se diventano sintomi depressivi che impediscono di riorganizzarsi intorno ai cambiamenti avvenuti.
La sindrome del nido vuoto è un’espressione coniata da psicologi e sociologi americani negli anni ’70 che indica quello stato di tristezza e abbandono che molti genitori, soprattutto la madre, soffrono nel momento in cui i figli vanno via di casa imponendo una decisiva modificazione del nucleo familiare e dell’assetto generazionale. La pur indubbia gioia dell’essere testimoni della realizzazione dell’indipendenza dei propri figli non esclude infatti vissuti di perdita e di abbandono venendo a modificarsi quell’assetto che fino ad allora consentiva quel ruolo di accudimento genitoriale su cui tanta parte dell’identità di molti genitori si fonda. Cosa se ne fa un figlio dei propri genitori una volta adulto? Se può sembrare che non ci siano risposte è solo perché, per fortuna, mai come adesso non sono così scontate.
Tornare ad essere in due nel nido vuoto
Può darsi che oggi molti genitori vivano il problema opposto, quello di figli che non vanno via di casa ormai più che trentenni, sta di fatto che, presto o tardi, il momento tanto procrastinato arriva (quasi) per tutti: i figli lasciano la casa della loro famiglia d’origine per investire in progetti affettivi o lavorativi in un altrove; da questo momento in poi niente sarà più come prima e ai genitori resta l’arduo compito di riorganizzarsi intorno alla modificazione dell’assetto familiare. Se anni addietro il compito evolutivo era stato quello di passare dall’essere in “due” all’essere in “tre”, aprendo l’intimità e l’esclusività della coppia alla generatività e all’ingresso del figlio; adesso la vita impone di fare un ulteriore passaggio tornando ad essere in due, o da soli, senza la convivenza con i figli. La sindrome del nido vuoto corrisponde alla tristezza e alla malinconia, che alcuni casi sfocia purtroppo in stati depressivi e di angoscia, che segnala la difficoltà ad adattarsi a questi cambiamenti.
Il nido vuoto e i piccoli lutti del mestiere di genitore
L’immagine del nido vuoto, se ben rappresenta il vissuto luttuoso e di perdita che emotivamente un genitore può serbare a seguito dell’indipendenza abitativa dei figli, rimanda anche ad una rappresentazione un po’ stereotipale e riduttiva di quella che è la naturale dinamica del rapporto genitori-figli. Per quanto la sindrome del nido vuoto si associ ad un passaggio evolutivo cruciale e fra i più significativi che una famiglia attraversa, è anche vero che l’indipendenza dei figli verso i propri genitori non è uno stato che si acquisisce improvvisamente e una volta per tutte. Di fatto, ben prima della sindrome del nido vuoto, tutto il mestiere di genitore è fondato su una serie di tappe intermedie che vedono i figli, prima bambini e poi ragazzi, attraversare via via passaggi di autonomia che impongono ai genitori di attraversare una serie di piccoli lutti, di “perdite” affettive che si compenetrano con la altrettanto naturale fierezza per le conquiste dei propri figli. Ogni mamma o papà verserà qualche lacrima di gioia e qualcun’altra di tristezza il giorno della prima gita scolastica, della prima vacanza fuori, della laurea o del matrimonio dei propri figli: è la naturale ambivalenza degli affetti umani.
Ti ricordiamo, a proposito delle tappe adolescenziali, l'articolo sul processo di separazione-individuazione nei problemi adolescenziali
Il nido vuoto e la coppia genitoriale
Quand’è che la sindrome del nido vuoto identifica stati depressivi che vanno al di là della normale e benevola nostalgia? Quando i genitori non riescono a trovare le risorse per ricostituire una propria vita affettiva, sociale e lavorativa, come coppia se sono ancora insieme o da soli, in cui reinvestire quella parte di energie che precedentemente avevano impegnato nella cura dei propri figli. Non è un passaggio semplice perché non si tratta semplicisticamente di “cambiare abitudini”, ma, attraverso un rimaneggiamento delle incombenze esteriori della propria esistenza, di modificare quello che è un assetto identitario – quello di genitore – che non può più fondarsi sull’accudimento e la cura. Attraversare la sindrome del nido vuoto può essere particolarmente difficile e delicato poi in quei casi in cui la coppia genitoriale serbi in sé contrasti e conflitti silenti che sono rimasti ad uno stadio larvale durante la crescita dei figli e che, ora che i coniugi rimangono di nuovo soli, rischiano di provocare crisi e rotture che non si è preparati ad affrontare.
Se si lascia il nido sempre più tardi…
Oggi, che i figli vanno via di casa spesso ben oltre la soglia dei trent’anni, per la sindrome del nido vuoto viene a configurarsi uno scenario ben differente da quello dell’effervescente ribellione che muoveva gli adolescenti degli anni ’70. Da un lato, il fatto che i genitori abbiano il tempo per convivere con un figlio ormai pienamente adulto può facilitare la presa di coscienza che “i tempi sono cambiati” e rendere stretta e scomoda la convivenza fra genitori e figli non solo a questi ultimi, ma anche per i genitori stessi non più totalmente “padroni in casa loro”, ma costretti a venire a patti con le ineludibili esigenze di un figlio adulto. D’altro canto la sindrome del nido vuoto e i vissuti abbandonici e luttuosi che la accompagnano può accentuarsi se i figli vanno via di casa con ritardo qualora questo coincida per i genitori con l’inizio della terza età, l’accudimento dei propri genitori molto anziani e tutta una serie di ulteriori passaggi legati al momento del ciclo vitale che possono rendere più faticoso l’adattamento alla nuova situazione.
Dal nido vuoto all’arco che scocca le frecce…
La sindrome del nido vuoto può essere una fase della vita da attraversare e superare con rinnovate energie se rivisitata come un possibile nuovo inizio invece che come inesorabile perdita. D’altra parte, e questo è vero fin dalla prima infanzia, attaccamento e separazione sono tutt’altro che due polarità in contraddizione, ma piuttosto categorie interdipendenti che organizzano entrambe la vita e le relazioni di una persona, inclusa quella fra genitori e figli (Rheingold e Eckerman, 1970). E’ proprio grazie alla sensazione di avere una “base sicura” che il bambino si permette la gioia di muovere i primi passi ed esplorare il mondo allontanandosi dalla madre; le cure e l’affetto di un genitore hanno come fine ultimo quello di rendere un figlio forte abbastanza ad andare via sulle proprie gambe e questo ogni genitore in fondo lo sa anche se con una punta di fierezza e una di rammarico.
Scriveva Kahlil Gibran:
I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane. Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo. (Il Profeta, Feltrinelli, 2011, pp. 18-19).
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